Paolo Risso |
«Dov'è andato il tuo Diletto, o bella tra le donne?
Dove si è recato il tuo Diletto perché noi lo possiamo cercare con te?».
(Cantico 6,1)
L'Opera cui Gesù
la chiamava doveva nascere dal dolore, come la Chiesa è nata sul Calvario
da Gesù Crocifisso e trafitto. Per suor Costanza iniziò un martirio
di lunghi anni.
Soffriva terribilmente a trovarsi immobile a letto, lei così traboccante di
vita. Cominciò a ripetere a se stessa: «Guarda, suor Costanza, quanto
è bella la volontà del tuo Dio! Possibile che per amore di Lui tu non
possa - per quest'oggi soltanto - star ferma e quieta a sorridere a Gesù?».
Ogni mattina rinnovava il suo sì a Gesù, Sposo divino. Ed Egli venne
presto a farle visita: «Sarai a mia completa disposizione. Ti comunicherò
i miei più intimi segreti. Ti formerò nello spirito che tu trasmetterai
alle tue figlie... Ti preparerò un deposito di grazie per tutta l'Opera».
Il sorriso riapparve sul suo volto. «Soffriva con gioia», testimoniano
le consorelle che la frequentavano di più. Per un dono che Dio fa ai suoi
eletti, più intense erano le sue sofferenze, più luminoso risplendeva
il suo sorriso.
«Come può sorridere? - le domandò suor Giovanna -. Come può
sorridere, mentre soffre così tanto?». Le rispose suor Costanza: «Lei
parla così perché non conosce la preziosità del dono della sofferenza.
Com'è possibile non sorridere di riconoscenza, quando il Signore ci visita
con il dono della sua Croce? Dio si compiace delle sue consacrate che gli sorridono
sempre».
E aggiunse: «L'anima che sorride alla sofferenza che l'Amore divino le manderà
per vivificarla della sua stessa vita di grazia, in breve raggiungerà le vette
dell'unione con Dio. È la via dell'immolazione più generosa che siamo
chiamate a percorrere, ed è indispensabile che noi, prime chiamate, facilitiamo
il più possibile il cammino a quelle che dovranno seguirci».
Il progetto di Dio ormai le si era di svelato ed ella l'accettava, pronta a tutto.
«Ora che è malata - commentò la Madre generale - non bastano
in quattro a sostituirla, tanto è il lavoro che faceva». Suor Costanza
si preoccupava di compiacere solo il Signore, fino all'ultima fibra di se stessa.
Era davvero ammalata, piagata come Giobbe, crocifissa come Gesù. Vennero le
Madri consigliere a farle visita e qualcuna le disse che il progetto della nuova
fondazione sfumava ogni giorno di più. Ma ella rispose solenne: «Non
giudichiamo umanamente, per carità, le vie del Signore. Adoriamo in silenzio:
Egli ha vie impensate per raggiungere i suoi fini, e saprà raggiungerli anche
servendosi degli strumenti più miserabili».
Dal suo letto di dolore era già fondatrice. Le suore che pensavano a unirsi
alla sua Opera si strinsero ancora di più a lei e per mezzo suo a Dio, sempre
più disponibili alla sua speciale chiamata.
Una di queste, suor Teresa
Mongardi, il 24 giugno 1923 offrì a Dio il sacrificio della sua esistenza
affinché avesse a compiersi presto l'Opera. Il Signore accettò il sacrificio
il 26 aprile 1924. Era il primo «fiore» di suor Costanza, trapiantato
in Paradiso.
Alcuni medici, chiamati dalla Madre generale, avevano preso a curarla: si pensava
ad una malattia della spina dorsale, ma la diagnosi apparve subito più complessa.
Le medicine non servivano a nulla. Ella non voleva medici e si affidò alla
Provvidenza di Dio.
Il dottor Gentilini, già ricordato, capì che si trattava di una malattia
misteriosa e non si pronunciò mai. Suor Costanza soffriva di edemi enormi,
di dolori intestinali atroci uniti a nausea, di mancanza di respiro e crisi cardiache
terribili, di mal di capo spasmodico... I denti erano doloranti, i piedi piagati.
«Un organismo tutto scompaginato», affermava il medico.
La superiora della casa di Bologna, madre Giacomina Calderoni, ne riferiva per lettera
ai vescovi, mons. Archi e mons. Pranzini. E intuì che suor Costanza era malata
«di gloria di Dio», come «vittima di Dio immolata per amore
al suo Amore». Sembrava, madre Giacomina, comprendere il sì profondo
che Costanza, nel suo intimo, offriva a Dio.
Anche il calzolaio della comunità, Gaetano Bonini, scoprì qualcosa
del suo mistero. Da qualche tempo non vedeva più la suora che tanto l'aveva
già impressionato. Un giorno fu chiamato nella sua camera per prenderle la
misura per un paio di pantofole. Uscendo, confidò a suor Annunziata: «Mi
sembra di vedere sui piedi di suor Costanza le stimmate, come quelle di Nostro Signore».
Fu immediatamente invitato a tacere.
Era la prova più dolorosa, più completa. Suor Costanza scriverà:
«Nei primi anni della mia infermità, allo spasimo del fisico si aggiungevano
le più sottili prove spirituali. Mi sembrava di essere abbandonata anche dal
mio Dio... Era un morire... Avevo la forza di pensare: Non cerco che il mio Dio.
Non mi potranno nuocere neppure le più terribili vessazioni dell'inferno,
se il Signore le permette» (dal «Diario spirituale») .
In quelle condizioni fece il proposito «di essere il sorriso della comunità».
Le sorelle che andavano a farle visita esclamavano: «Quella è sempre
felice». Nelle ore più terribili, mentre sopportava gli assalti del
demonio, pensava: «Il mio Dio vive e so che mi userà misericordia».
Si teneva vicina a Gesù eucaristico nel Tabernacolo, sebbene il Cielo le paresse
chiuso e sordo alle sue invocazioni.
Ai medici dapprima sembrò isterica, ma presto si resero conto che era una
persona normalissima, di equilibrio perfetto, e ne erano sconcertati. Ella annoterà:
«Con la volontà, sostenuta dalla grazia di Dio, è sempre possibile
resistere a qualunque prova».
Gesù in persona veniva a sostenere la sua sposa, colei che con il suo dolore,
offerto per amore, già iniziava a generare la nuova fondazione e un numero
grande di figli di Dio. Il 30 dicembre 1924 Gesù le disse: «Le anime
mi seguono fino alla frazione del Pane, poche fino al Getsemani, al Calvario le perdo
quasi tutte. Saprai tu seguirmi sino alla fine?».
Gli rispose suor Costanza: «Con la tua grazia ti seguirò».
«Ma bada - aggiunse Gesù - che per seguirmi fino al "consummatum
est", dovrò sottoporti a un annientamento assoluto».
Il colloquio durò a lungo.
Il 1° gennaio 1925 tornò Gesù: «Quando sarai nell'Arca santa
- le disse - verrai privata di tutto, non mi vedrai più, ti sarà tolto
anche il conforto di vedermi nell'Ostia... Dovrai subire queste prove. Ti introdurrò
gradatamente e tu, seguendo l'azione della grazia, lasciati immolare fino in fondo».
E aggiunse: «Vi è ancora un mio desiderio che vorrei fosse intuito dalla
delicatezza del tuo amore».
«Tu vuoi che io attraversi queste prove forse con il gaudio?».
«Hai indovinato - rispose Gesù -, ma come potrà essere questo
gaudio?».
«Non sensibile... ma la consapevolezza di appartenere a Dio varrà a
tenermi in un gaudio di pura volontà».
Va bene così», concluse Gesù.
E il sorriso, nonostante il dolore atroce, risplendeva sul suo volto.
Nel frattempo, mons. Giovanni
Battista Nasalli Rocca aveva fatto il suo ingresso nella diocesi di Bologna. Alcuni
mesi dopo che suor Costanza si era posta a letto, venne nell'Istituto delle Ancelle
del Sacro Cuore per la festa delle prime Comunioni. Al momento di andarsene, domandò
se in casa ci fossero suore malate.
La superiora gli disse che c'era suor Costanza. «Mi accompagni da lei - rispose
il Cardinale -, gradirei vederla e benedirla».
Costanza ricorderà:
«Quella visita fu una vera benedizione. Mi interrogò paternamente, volle
sapere se fossi sempre così contenta come mi vedeva. Risposi che mi studiavo
di vedere bella la volontà di Dio. Trovai spontaneo aprirmi su quanto comprendevo
che il Signore voleva da me. Si fece serio, si disse contrario a favorire simili
Opere di c1ausura, per le quali sarebbero state necessarie delle autentiche sante.
- Dove le trova?
- Eppure, Gesù insiste nel volere l'Opera di vita contemplativa!
- Se davvero è Lui che lo vuole, lo farà capire anche a me, non è
vero? Lasciamoci guidare dagli eventi. E lei preghi molto!
Lo promisi... Mi lasciò sperare che lo avrei riveduto» (Diario,
93).
Da quel giorno, tutte le volte che il card. Nasalli Rocca si recava all'Istituto,
saliva nella cella di suor Costanza, sempre ammalata. Ed ella gli spiegava sempre
più ampiamente il progetto che non era suo, ma di Dio. Il Cardinale toccò
con mano l'azione divina nella suora inferma e attese, sempre più aperto,
la sua «ora».
Non era solo l'Arcivescovo a farle visita. Suor Costanza attirava con il fascino
della sua parola e del suo sorriso, ed era sempre disponibile a ricevere chiunque:
il suo letto era diventato subito un altare per offrirsi con Gesù e una cattedra
da cui, per mezzo suo, illuminava i fratelli.
Mons. Corsini, docente di teologia, la visitò diverse volte, rimanendone segnato
dalla gioia e dalla presenza di Dio che ella irradiava. Un'alunna del Collegio, Garda
Zamboni, si sentì rispondere da suor Costanza: «Nel mio stato sono
tanto felice, che non cambierei con la regina più potente del mondo. Un'anima
religiosa, quando cerca solo il suo Dio, ha trovato il Paradiso in terra».
Le Ancelle del Sacro Cuore, della casa di Bologna e delle altre case, erano bramose
di stare in sua compagnia e di ascoltarla.
Ne uscivano tutti illuminati, toccati da un'atmosfera celestiale.
Anche le alunne del collegio sentivano il desiderio di vedere suor Costanza e di
stare con lei, sia pure per brevissimo tempo. Andavano a raccontarle i loro problemi,
le difficoltà negli studi, a raccomandarsi alle sue preghiere, specialmente
in occasione degli esami. Ella conosceva la voce di ciascuna, anche quando le parlavano
solo dietro la porta della sua stanzetta. La consideravano «la santa»
dell'Istituto, quella che parlava con Gesù direttamente, che da Lui otteneva
tutto.
Una delle alunne, Gigliola Berardi, scriverà molti anni dopo: «La ricordo
nella sua aureola di bontà e di sofferenza. Una mattina ho potuto assistere
alla sua Comunione. La sua stanza era pervasa di misticismo... nell'entrare ci si
sentiva trasportati come in un altro mondo... Mi pervase una grande commozione: avrei
voluto rimanere e nello stesso tempo fuggire... mi sentivo una nullità di
fronte a un essere così grande e luminoso».
Due ragazze, aspiranti alla vita religiosa tra le Ancelle del Sacro Cuore, Imelde
Assirelli e Ancilla Torelli, una sera le dissero forte dietro la porta: «Buona
notte, suor Costanza!». Ella rispose: «Le ho sentite cantare, le ho presentate,
a una a una, a Gesù, perché le tenga sempre vicine». Se ne andarono
piene di gioia.
Fin dal primo giorno della
sua immobilità, la cella di suor Costanza apparve un piccolo santuario. Tutto
in ordine, lindo e luminoso, come intorno a un altare su cui Gesù, Eterno
Sacerdote, offre al Padre se stesso come Ostia.
«Egli medesimo - annoterà suor Costanza - voleva che tutto nella camera
risplendesse per ordine e nettezza, come in un santuario. Voleva che il letto dove
stava la sua piccola ostia fosse un bianco altare. Non avrei potuto fare diversamente,
perché le sue frequenti visite esigevano quel decoro» (dal «Diario
spirituale»).
In infermeria c'era anche, da qualche tempo, l'ex-superiora generale, madre Giuseppina
Papotti, che andava aggravandosi. Nel 1924 suor Costanza non era ancora migliorata.
La Madre generale decise di trasformare in cappella la camera attigua. Il 10 venerdì
di dicembre 1924 venne il vescovo, mons. Pranzini, a celebrarvi la Messa e a lasciare
Gesù eucaristico nel Tabernacolo.
Suor Costanza era sicura che quel «cenacolo» sarebbe diventato il cuore
della sua Opera, sempre più vicina a nascere.
Ogni mattina un sacerdote vi saliva per prendere l'Ostia Santa nel tabernacolo e
comunicare lei e le altre suore inferme. Per tutto il giorno ella poteva colloquiare,
cuore a cuore, con Gesù Eucaristico, unico amore della sua esistenza. Non
viveva che per Lui solo, per compiere il suo grande progetto.
Là, con l'approvazione della Madre generale, che spesso partecipava di persona,
si radunavano le suore che, in segreto, aspiravano a unirsi a suor Costanza nella
nuova fondazione. Ed erano colloqui d'amore con lo Sposo divino, mentre suor Costanza
- che esse già consideravano Madre - le formava allo spirito che il Signore
voleva da loro.
Venivano anche sacerdoti e illustri prelati a conferire con lei, primo fra tutti
mons. Pranzini, vescovo ausiliare di Bologna, che riceveva le linee fondamentali
dell'Opera e le annotava fedelmente, per il futuro.
Come se fosse il fatto più naturale del mondo, continuava a venire Gesù.
E sua Madre, Maria SS.
Un giorno della novena dell'Immacolata 1924 - racconta suor Costanza «mi apparve
la Madonna, seguita da dodici vergini... In quella visita Ella mi insegnò
la pratica dei Dodici Privilegi, ingiungendomi di farla conoscere e di diffonderla,
perché graditissima al suo cuore, e di praticarla, durante la novena della
solennità dell'Immacolata Concezione» (ivi).
Suor Costanza ne parlò alle Autorità della Chiesa, che approvarono.
Durante il tempo pasquale del 1925 venne Gesù. «Era tanto attraente
- ricorderà la suora - e con amabilità si pose accanto al mio letto:
"Vengo, mi disse, per predisporti a una grande grazia che sto per farti".
Tornò la mattina seguente e mi disse: "Vengo per adornarti dei miei splendori,
perché ti voglio presentare al Padre mio"... Mi sollevò fino al
triplice Trono: "Ecco, o Padre, la sposa che Tu mi hai data e che, come forma
il mio compiacimento, deve formare anche il tuo!".
A queste parole mi aprì alla vista del Padre... Iniziò una nuova fase
per la mia vita» (dalle «Memorie»).
Il cardinal Nasalli Rocca,
di tanto in tanto, veniva a far visita a suor Costanza inferma. Prima contrario a
una nuova fondazione di clausura, si era fatto sempre più attento e disponibile.
Ora constatava che la Provvidenza aiutava anche materialmente, ponendo a disposizione
la somma di denaro necessaria per iniziare.
Un giorno arrivò e disse: «Con la somma raccolta, si possono cominciare
i lavori di costruzione della nuova casa». E incaricò mons. Pranzini
di occuparsene. Poco dopo, quest'ultimo fu nominato vescovo di Carpi e tutto sembrò
sfumare. Ma il Cardinale ormai «vedeva» che l'Opera era indispensabile
per fermare il male dilagante e per la salvezza di tanti fratelli.
La Madre generale, nella circolare inviata a tutte le case della Congregazione in
occasione della solennità del Sacro Cuore di Gesù, annunciò
che, accanto alla Casa-Madre, si sarebbe iniziata la fabbrica di uno stabile da adibire
a casa religiosa, e affermava che ne aveva ricevuto tutte le facoltà da parte
dei Superiori maggiori.
Così, il 26 giugno 1925, il cardinal Nasalli Rocca benedisse la prima pietra
della casa che sarebbe stata «l'Arca Santa», in cui Gesù
eucaristico avrebbe avuto l'adorazione e l'onore che gli spettano, segno e invito
a dare a Lui quel posto unico che gli è dovuto nella Chiesa e nel mondo.
Sulla pergamena per l'occasione il Cardinale scrisse: «Benedico quante anime,
seguendo l'impulso della grazia con generosità, si daranno a seguire il divin
Cuore del Redentore nelle divine sue brame di salvezza per gli uomini affidati al
suo Sacerdozio». Vi unì le reliquie di santa Teresa di Gesù Bambino,
della beata Imelda Lambertini, vergine domenicana bolognese, e di santa Margherita
Maria Alacoque.
Nel 250 anniversario di quel giorno, nel 1950, suor Costanza scriverà: «La
creatura non c'entra affatto e se, come strumento, è stata adoperata, è
stata scelta quella meno adatta, la più sprovvista, appunto perché
si riconoscesse il vero Fondatore».
In quei giorni era stata ridotta all'impotenza dalla malattia, che sembrava non finire
più. Racconta: «Gesù mi disse: "Puoi fidarti di me?".
Mi abbandonai con fiducia in Lui, affondandomi nel suo amore, come la prima pietra
che venne affondata nel terreno, convinta di non poter dare migliore collaborazione.
Intanto la grazia lavorava nelle anime che avrebbero dovuto costituire il piccolo
drappello, mentre le mie condizioni fisiche si facevano sempre più precarie».
Nel luglio 1925 cominciarono i lavori di scavo delle fondamenta. Benché malata,
suor Costanza seguiva tutto, «come avesse davanti agli occhi la pianta dello
stabile». I costruttori dipendevano dalle sue indicazioni e non solo una volta
dovettero rifare quello che non era secondo i disegni di Dio.
Le difficoltà e gli ostacoli, in comunità e in diocesi, non mancavano.
La Madre generale, che pure appoggiava l'Opera nascente, a volte dubitava e ne parlava
a suor Costanza. La quale, senza lasciarsi intimidire, sostenuta dalla fede, la incoraggiava
a proseguire.
Venne persino mons. Pranzini - che pure aveva offerto la sua vita per la nuova fondazione
- a domandarle: «È proprio certa che sia il Signore a volere l'Opera?
E se fossimo in errore? Io non me la sento di continuare». Ella gli rispose:
«Dio non muta: quello che vuoi fare, lo farà e tanta opposizione
da parte degli uomini farà risplendere maggiormente la sua onnipotenza».
Nel 1927 si celebrò a Bologna il Congresso Eucaristico Nazionale. Sembrava
giunto il momento per aprire la nuova casa. Non fu possibile. Nel timore di molti,
solo suor Costanza continuava a essere serena e fiduciosa.
Proprio durante le conferenze del congresso, un vescovo, venuto di fuori, lamentò
che non vi fosse a Bologna un Istituto dedicato all'adorazione continua di Gesù
eucaristico, per il bene della Chiesa e in particolare per la città.
Il discorso fece profonda impressione. Il cardinale Nasalli Rocca, con i vescovi
Archi e Pranzini, rimasero scossi. Tuttavia, finito il Congresso, le difficoltà
aumentarono. Suor Costanza ne soffrì terribilmente, come colpita al cuore.
Era lei la prima pietra: doveva essere come «stritolata», perché
potesse aprirsi l'Arca Santa del suo Sposo eucaristico. Era lei la Madre che, attraverso
l'amore e il dolore, avrebbe generato la nuova comunità adorante davanti all'altare,
per il bene della Chiesa e dei sacerdoti.
Passando per il dolore, Dio stava preparandole una moltitudine di figli e figlie.
Davvero aveva Gesù
vivo nella sua anima, suor Costanza, per essere così conforme a Lui. E, senza
volerlo, lo rivelava a chiunque anche soltanto una volta passasse nella sua camera.
I sacerdoti che le facevano visita uscivano dalla sua cella toccati dentro in profondità.
Molti cominciarono una vita sacerdotale più intensa. Da parte sua, ella continuava
a soffrire e a offrire con una dedizione senza limiti per la santificazione dei sacerdoti
e dei religiosi.
Voleva portar li, uno per uno, a vivere in pienezza la sublimità del sacerdozio
di Cristo, di cui sono rivestiti.
La sua immolazione per l'Opera nascente e per i sacerdoti non aveva più confini.
Era disponibile a tutto, a ogni rinunzia, a ogni sofferenza. Desiderava essere sempre
più una cosa sola con Gesù, nell'offerta al Padre, un'ostia di adorazione
e di impetrazione con Lui.
Il suo esempio contagiava le sorelle che intendevano unirsi a lei nella nuova fondazione.
Suor Scolastica Contoli, pittrice trentunenne, entrata in comunità nel 1925,
il giorno della sua professione religiosa si offrì vittima per l'Opera eucaristica.
Dio accettò il suo sacrificio il 19 luglio 1928. Il 10 novembre 1927 entrando
in ospedale aveva scritto a suor Costanza: «Mia ottima mammina, andiamo con
Gesù al Calvario... Tante anime si uniranno in una sola famiglia per dare
gloria, amore, riparazione a Colui il cui nome è oltraggiato, vilipeso. Canterò
in eterno la misericordia del Signore».
Così unita alla Vittima divina, suor Costanza pregò ancora più
intensamente, invitando tutti a fare altrettanto, quando il 10 aprile 1929 Bologna
fu colpita da fortissime scosse di terremoto, che poi continuarono a lungo, minacciose.
Nessuno più dormì in casa per diversi giorni. Le suore e le alunne
dell'Istituto si raccolsero tutte al pian terreno. Solo Costanza rimase nella sua
stanzetta all'ultimo piano, vicino alla cappella che custodiva Gesù eucaristico.
A ogni scossa, le bambine e le suore invocavano: «Signore, salvaci, per
il grande amore che porti a suor Costanza». Anche il terremoto e l'angoscia
di quei giorni terribili finirono.
In quegli anni i potenti della terra - Stalin, Hitler e Mussolini - stavano muovendo
ben più gravi terremoti: la lotta spietata alla Chiesa di Cristo con il tentativo
folle di annientare il sacerdozio cattolico, la violenza contro i più deboli,
la persecuzione ai giusti e agli innocenti, e la seconda guerra mondiale. Già
dilagava dovunque la negazione di Dio, dalla quale tutti i mali più gravi
vengono all'umanità, come dimostra in pieno questo secolo XX, il più
sanguinario della storia.
Quale il rimedio?
Lo indicava questa sconosciuta suora inferma con la sua offerta: solo nell'adorazione
al Dio Unico - che nasconde il suo Amore infinito e sconvolgente nel piccolo Pane
eucaristico - il mondo troverà salvezza. È soltanto il sacrificio di
Cristo sul Calvario, prolungato nella celebrazione della Messa come atto di suprema
adorazione, che riporta a Dio l'umanità. Il Sacrificio dell'altare e il Tabernacolo:
suor Costanza li additava come la sorgente inesauribile di grazie.
Finalmente, il 21 gennaio 1930, festa di sant'Agnese, dopo molti anni di infermità,
ella poté avere la celebrazione della Messa nella sua camera. L'ebbe di nuovo
lo stesso giorno nel 1931 e nel 1932. Celebrò il padre Bonaventura da Faenza,
cappuccino: per accontentarla, all'elevazione tenne a lungo l'Ostia consacrata in
alto, affinché ella potesse contemplarla.
Uscì così trasformato da quella celebrazione eucaristica che molti
anni dopo, nel 1944, le scriverà: «Oh, le Sante Messe celebrate a
lei tanto vicino! Profumano ancora la mia vita sacerdotale... Divino Ufficio e Santa
Messa sono tutto il mio tesoro!».
Intanto la casa per la nuova fondazione era pronta e la chiamavano «la casa
rossa», perché costruita in pietra viva. Diverse ragazze, per un dono
misterioso di Dio, si sentirono contagiate da suor Costanza, pur avendola incontrata
anche solo poche volte.
Venivano dal collegio o da più lontano. Si chiamavano Maria, Rosa, Clara,
Jolanda, Anna MariaÖ Saranno le prime sue «figlie». Entreranno nell'«Arca
Santa», adoratrici di Gesù solo!
Finalmente spuntò l'alba del 1933.
Da dieci anni suor Costanza era immobile nel suo letto, come la vittima sull'altare.
La gestazione dell'Opera, compiuta nell'amore e nel dolore, insieme a Gesù,
era per finire.
La sua maternità stava per rivelarsi nel suo splendore.
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