Paolo Risso |
«Bello è il tuo volto,
- dice lo Sposo -,
farò per te pendenti d'oro».
(Cantico 1, 10-11)
«Romagna solatìa,
dolce paese...» - così comincia il poeta Giovanni Pascoli nel canto
alla sua terra. Nel cuore della Romagna sorge Faenza, l'antica Faventia dei
Romani, sulla sponda del fiume Lamone che discende dall'Appennino verso l'Adriatico.
Già nel Medioevo sprizzava bellezza e forza e Dante ne fa più volte
il nome nella sua Commedia. Oggi è famosa nel mondo per la passione
dell'arte, gli splendidi edifici, le manifestazioni artistiche per cui è chiamata
«la piccola Firenze».
I suoi cittadini vi lavorano le ceramiche diffuse in tutto il mondo.
A quattro chilometri a sud della città c'è un borgo, Rivalta,
sulla strada che conduce a Modigliana. Attorno è campagna, con terra e cielo,
sole e luce: un paesaggio sereno, denso di pace.
Il 19 settembre 1882, nella chiesa del borgo, si celebrò festa di nozze. Lui,
Giuseppe Zauli, 25 anni, coltivatore dei campi, lei, Rosa Tanesini, ventenne tessitrice.
Entrambi erano amici di Dio e quel giorno, per la loro famiglia nascente, vollero
Cristo come divina presenza, amico, guida.
In Lui, Giuseppe e Rosa si amavano intensamente. Ogni sera, nella nuova casa di sposi,
terminavano il giorno in preghiera davanti alla Madonna, che sapevano essere madre
buona e provvidente. La loro vita era lieta, anche se non erano ricchi; ma non mancavano
la fede e neppure l'amore.
Giuseppe era un giovane uomo di animo nobile, fine e delicato, autentico cristiano
laborioso. Rosa, una ragazza romagnola schietta, semplice, un po' loquace, buona
e dinamica donna di casa, tutta pervasa di fede.
La loro casa diventò subito un nido in attesa di frulli d'ali. Un caldo nido,
aperto, accogliente allo sbocciare di nuove vite.
Un anno dopo le nozze nacque il primogenito: lo chiamarono Vincenzo, per ricordare
la nonna paterna, morta in giovane età. Cresceva bello, robusto e vivace.
Vincenzo era sui tre anni quando in casa Zauli si attendeva un'altra creatura. Venne
il 17 aprile 1886, sabato della settimana di Passione, che nel calendario liturgico
allora vigente precedeva la settimana santa. Tutto era fiorito all'intorno, nella
primavera traboccante di luce.
Alle ore 17 di quel giorno nacque una bambina.
Bella, il suo sguardo già si apriva a un timido sorriso.
Sarà l'unica bambina, nel caldo nido della famiglia Zauli.
Nasceranno ancora sette bambini, dei quali vivranno cinque, tutti maschi: Paolo,
Domenico, Luigi, Pasquale e Umberto.
Ma a noi ora interessa la bambina.
Il giorno seguente, domenica
delle Palme, la bambina fu portata al battesimo ed ebbe due nomi spiranti letizia:
Palma Pasqua. Era il suo primo contatto con Gesù che cominciava ad
abitarla e a rivestirla della sua luce.
Iniziava nel silenzio una stupenda avventura.
Quando il sacerdote le versò sul capo l'acqua lustrale, la piccola sorrise.
Il sacerdote, stupito, disse al papà: «È singolare questa bambina!
Di solito i piccoli piangono, mentre lei sorride tanto».
Nel ricevere sulle labbra il sale, ella mostrò di gustarlo come cosa squisita
e rise, soddisfatta, con stupore di tutti. Aveva compiuto la prima, anche se inconsapevole,
esperienza che l'incontro con Gesù è gioia inondante la vita.
In casa i suoi la chiamarono Palmina.
Non poteva ancora parlare, ma già sorrideva a tutti. I genitori, stupiti,
esclamavano: «Ma guardate com'è contenta di stare al mondo questa
bambina!».
«Ero felice infatti - scriverà un giorno ella stessa -. La scoperta
che feci al primo aprirsi della mia intelligenza fu quella di essere nata per la
felicità e ben presto mi venne data l'intuizione, sebbene assai vaga, di una
luce che mi arrideva dall'alto e nella qua-le avrei trovato l'appagamento pieno di
questa mia sete» (1).
Ancora piccolissima, Palmina sentiva che una Voce interiore, divina, le parlava.
Dio parla a tutti i bambini, ma a lei si rivelò con premure di predilezione.
La sua Voce la istruiva, la educava. Ella cresceva nella sua luce, secondo la sua
compiacenza.
Credeva che tutti i bambini sentissero così la Voce. Ma capì presto
che non era così. Guardava a Vincenzo, il fratello maggiore, con deferenza,
ma sapeva pur dirgli: «Non sarebbe meglio obbedire, aver pazienza, essere meno
curioso...? Non senti che è meglio essere come ti dico io?». Quello
le rispondeva: «Io ho sentito che dovevo protestare, picchiare, mangiare le
caramelle e basta!».
In casa tutti le volevano un gran bene, amabile com'era, un tesoro di bambina. Era
considerata la piccola regina.
Papà voleva vederla crescere senza preoccupazioni. La mamma non mancava di
invitarla a pregare quando c'erano difficoltà. Palmina riferiva tutto alla
Madonna, e i problemi trovavano soluzione. Ogni domenica il papà non le lasciava
mancare un regalo, che la bambina si divertiva a cercare nelle sue tasche, saltandogli
in braccio.
Una gioia grande provava ad andare a passeggio con il papà e a raccogliere
i fiori per lui, che poi offriva alla mamma. In casa «era custodita come
un giglio».
«Fu il babbo - racconta - a inculcarmi una profonda devozione alla Madonna.
Spesso mi diceva: "Palmina mia, bisogna amarla molto la Madonna, perché
soltanto chi le vuoi bene può essere certo della sua eterna salvezza"».
E le raccontava i prodigi compiuti per l'intercessione di Maria. La stessa cosa faceva
la mamma (Diario, 25).
La bambina cresceva, lieta di sentirsi amata. Nei genitori vedeva l'immagine di Dio-Amore.
Cresceva nella gioia.
Dio già iniziava a parlare al suo cuore.
Intanto la famiglia Zauli
si era trasferita da Rivalta a Faenza, in via Sobborgo Mondina, n. 5, oggi via Batticuccolo.
La loro parrocchia era San Lorenzo, in via Minardi.
Un giorno, era d'inverno e faceva un gran freddo, papà Giuseppe avvolse Palmina
nel suo mantello e la portò con sé alla santa Messa. La bambina era
ritta sul banco e seguiva il celebrante. Un attimo prima dell'elevazione il papà
le disse all'orecchio:
«Guarda, Palmina, là in quell'Ostia c'è il Signore!».
Ella guardò attentamente e vide nell'Ostia una bella luce: comprese che era
una Realtà grande e meravigliosa. Si sentì colma di felicità
e attratta irresistibilmente.
«Sentivo - confessa - che là, nel Sacramento, era incentrata
tutta la mia vita».
Al termine della Messa fu esposto sullíaltare il Santissimo Sacramento. Papà
Giuseppe si prostrò fino a terra. Palmina lo imitò e non si alzava
più dall'adorazione.
«È ora di tornare a casa - la chiamò il babbo -. La mamma ci
aspetta. Che cosa faresti, se ti lasciassi qui sola con il Signore?».
«Lo guarderei sempre, mi piace tanto!». Palmina, quel giorno,
fece la grande scoperta: il suo amore, la sua gioia era solo Lui, Gesù, vivo
e vero nell'Ostia. Per Lui, per Lui solo, avrebbe consumato la vita.
Fu quello il primo incontro con Lui.
Nasceva la sua mirabile passione.
Era lo Sposo che per la prima volta l'aveva attratta a sé.
Mai più sarebbe stata sola. Cominciava la vita a due: Cristo e Palmina,
la sua amata.
A tre anni aveva iniziato a frequentare l'asilo. Gesù già l'aveva riservata
per sé. Per questo ella, ancor piccolissima, aveva uno speciale intuito.
Una maestra l'accarezzava dolcemente. Ma Palmina la sfuggiva, seccata di quelle carezze.
Quella si lamentò con il padre. Papà le domandò il motivo.
La bambina rispose:
«Quella persona non è in grazia di Dio». Giocavano tutti
insieme i frugoli dell'asilo. Un bambino una volta pronunciò una parolaccia.
Palmina sentì che Gesù era offeso e lo disse all'insegnante, senza
ripetere, per nessun motivo, quella parola.
La mamma, avvertita, tenne a casa Palmina.
L'anno dopo fu mandata da una signorina a prender lezioni di catechismo. Ma la catechista
con le sue lezioni la opprimeva. Palmina ottenne di poter stare in casa, con i suoi
genitori e i fratellini. Il vero maestro che l'educava era solo Gesù.
«Il mio unico Amore - afferma - era Dio. Il Signore, fin da allora
si faceva conoscere alla mia anima come una grande luce che mi avvolgeva, mi impregnava,
mi incentrava in sé, e io vivevo in quell'atmosfera celeste. Preferivo starmene
in silenzio, in contemplazione; la vista del cielo m'immergeva nella sua grandezza
e mi parlava di Dio. In tutto il Signore mi attraeva con una forza irresistibile
e mi riempiva di sé» (Diario, 28).
Quando Palmina frequentava
ancora l'asilo, un giorno il papà andò a riprenderla per riportarla
a casa. Era inverno, imperversava la bufera e lui teneva la bambina tutta avvolta
nel mantello.
«Che cosa farai da grande? - le domandò -.
Starai sempre con me, non è vero?».
«Mi farò suora!» - rispose decisa.
«Ma sai quel che vuol dire?»
«Vuol dire essere tutta di Gesù».
Il papà se la strinse più forte al cuore e i suoi occhi si riempirono
di lacrime. La mamma, saputolo, ripeteva inquieta: «Chi sarà stato a
parlare di queste cose alla bambina? Non lo permetterò mai, mai!».
Per tenerla unita a sé, cominciò a insegnarle a compiere i lavori domestici,
così che a cinque anni Palmina era già capace di fare tante cose. Stava
volentieri occupata a tener in ordine la casa e i fratelli più piccoli.
Quando giunse il tempo di andare a scuola, ella avrebbe preferito frequentarla dalle
suore, ma la mamma, sapendo delle sue inclinazioni, la iscrisse alla scuola comunale.
Dopo appena quindici giorni di frequenza la mamma, abituata all'aiuto dell'unica
figlia, la tenne spesso a casa, giustificandosi che, intelligente com'era, sarebbero
bastati alcuni giorni alla fine dell'anno scolastico per ottenere la promozione in
seconda classe.
Frequentò così la scuola in modo assai irregolare per tre anni, ma
imparò l'essenziale, e riuscì a superare l'esame di ammissione alla
quarta. Commenterà Palmina: «La licenza di terza elementare è
il mio massimo titolo di studio, ma non mi è mai sembrato giusto farlo
valere» (Diario, 29). Eppure potrà essere guida ai più
grandi sapienti, con la sapienza che già cominciava a comunicarle il divino
Maestro.
Raramente giocava con le compagne. Le amiche della mamma ne erano stupite. Quando
il papà si ammalò gravemente e la mamma dovette lavorare fuori, Palmina,
da sola, provvide alla casa e ai fratellini, al bucato, alla stiratura della biancheria,
privandosi di ogni svago. Era solo una bambina decenne, ma i suoi fratelli, per merito
suo, erano lindi e lustri come principi.
Una cosa solo pretese dai suoi genitori, nonostante ogni occupazione: il permesso
di passare in chiesa per una visita a Gesù Eucaristico ogni volta che doveva
uscire per le commissioni. Vicino al Tabernacolo, Palmina sentiva la gioia salirle
in cuore a grandi ondate. Gesù le parlava ed ella lo ascoltava, rapita.
«Che cosa fai?» - le domandava il cappellano. «Prego».
«Oh, vorrei proprio sapere che cosa dici».
«Sono contenta di stare vicino a Gesù - confidava Palmina al
Parroco che veniva a vederla -. Chissà che cosa proverà lei, quando
nella Santa Messa, dopo la Consacrazione, tiene Gesù tra le mani!».
Il Parroco, commosso, le insegnò che nella visita al SS. Sacramento doveva
recitare sei Pater, Ave, Gloria, ecc. Palmina obbediva, ma a fatica, perché
sentiva il bisogno di rivolgersi a Gesù cuore a cuore, come all'Amico teneramente
amato.
Ella già dava del tu a Cristo, in un intenso colloquio. L'incontro, per
suo dono, si era già fatto profondo, ed era intensa familiarità.
Giunse la primavera del
1895. Palmina desiderava accostarsi alla prima Comunione. A quell'epoca non si riceveva
prima dei dodici anni. Ella insisteva con il Parroco per farlo prima. Aveva sempre
frequentato il catechismo in parrocchia con grandissimo piacere. Non finiva più
di interrogare il sacerdote per poter conoscere il Signore.
Il Parroco parlò del desiderio di Palmina al Vescovo di Faenza, il quale la
ammise subito alla Cresima e alla prima Comunione.
Il 3 giugno 1895 ricevette la Cresima. «Mi parve - scrive - che una
fiammella del fuoco della Pentecoste scendesse su di me e mi accendesse tutta, infondendomi
una forza di grazia, un senso così vivo della presenza di Dio che, quasi spontaneamente
e sempre con scioltezza, soavità e amore, mi sentivo portata al meglio, il
più perfetto in ogni mia azione» (ivi).
Finalmente, il 26 giugno 1895, Palmina si accostò la prima volta all'altare
per accogliere Gesù eucaristico. Quello fu un giorno di Paradiso e nessuno
meglio di lei può testimoniare la grazia dell'incontro:
«Quando il sacerdote mi fu accanto per porgermi la Sacra Particola, mi sentii
come avvolta e penetrata da un Sole bruciante e splendente che comunicò all'anima
mia un indicibile ardore. Appena ricevuto il mio Dio, mi sentii dire da Lui queste
dolcissime parole:
- Sarai tutta mia, come io sono tutto tuo e per sempre? Ti ho scelta a mia sposa.
Aderii pienamente e ci scambiammo le nostre promesse» (Diario,
30).
La prima Comunione fu per Palmina il «fidanzamento» con Gesù.
Da quel giorno - aveva nove anni appena - appartenne solo a Cristo, che le aveva
dichiarato il suo amore: «Tu sei mia!». Ella già gli aveva
risposto: «Sarò tua per sempre».
Il cielo era disceso nella sua anima. Palmina sentiva in sé la presenza dell'Ospite
divino. Il suo colloquio con Gesù si fece intenso, affettuoso, penetrandola
tutta: c'era solo Lui nella sua vita, nel suo pensiero, nel suo amore.
Qualche giorno dopo la prima Comunione, Palmina partecipò a una gita con la
catechista e le compagne all'eremo di San Paolo sopra Forlì, luogo dove era
passato, all'inizio del Duecento, sant'Antonio da Padova. L'improvvisa irruzione
di una fresca cascata di acqua la riempì di stupore.
Chiamò le compagne ad ammirare lo spettacolo. Ma quelle le domandarono che
cosa mai ci fosse da stupirsi tanto... Palmina aveva «visto» l'acqua
viva della grazia divina che zampilla in vita eterna e ne intravedeva le meraviglie
in se stessa.
Davvero era una fanciulla privilegiata, pur non sapendolo, anzi pensando che gli
altri avessero tutti i suoi doni. Il Parroco se ne era accorto, ormai, e le permise
di accostarsi all'Eucaristia ogni giorno: Palmina toccò il vertice della gioia.
Al mattino riceveva Gesù, Pane di vita. Al pomeriggio gli restituiva la visita,
indugiando mezz'ora davanti al Tabernacolo. Gesù la istruiva e la educava
per sé, per la sua missione nel mondo.
In casa non aveva detto nulla del colloquio con Gesù durante la prima Comunione.
Era un segreto che l'Amico divino riservava, per ora, per sé e per la sua
piccola Amata. «Finché ti lascio in famiglia, - le aveva detto -, sii
pure dei tuoi senza alcun timore, per poi essere interamente mia, quando ti avrò
per me».
In essa, mentre compiva i lavori domestici, diligente e lieta, pensava continuamente
a Gesù. Appena libera, si ritirava nella sua stanzetta e guardava dalla finestra
il campanile della sua parrocchia in lontananza: là c'era il suo tesoro, Cristo.
Lo visitava con il cuore. Lo visitava nei tabernacoli più abbandonati.
L'aveva incontrato ormai, Gesù Cristo. Aveva visto il suo volto, ascoltato
la sua voce. Distingueva il suo passo da tutti i passi diversi dal suo. Viveva in
intimità con Lui.
E attendeva la sua ora.
L'ora delle nozze divine.
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