Serva
di Dio |
Egli si è caricato delle nostre sofferenze,
si è addossato i nostri dolori;
e noi lo giudicavamo castigato,
percosso da Dio e umiliato.
(Is 53, 4)
Dopo aver prolungato nel Cenacolo la conversazione coi suoi per fortificarli affinché potessero resistere alla prossima tentazione, Gesù esce dirigendosi al Getsemani e, presi con sé i tre prediletti: Pietro, Giacomo e Giovanni, si avanza distanziandosi da essi quanto un tiro di pietra e si prostra a terra in profonda adorazione al Padre suo.
In questa prima prostrazione il Divino Maestro era ancora nell'ardore dell'offerta, quasi felice di vedere giunta l'Ora sua tanto bramata, per poter dare all'Altissimo quella prova di obbedienza che avrebbe riparato la colpa originale e riaperte all'umanità le porte del Cielo; e ammirava gli effetti della Redenzione compiuta. Ma ad un tratto quella bella luce si oscura, le potenze spirituali di Gesù, per l'eclissi misteriosa del loro sole, lo piombano in un'ambascia senza fondo. La tristezza, la paura, il tedio invadono il suo essere come una marea melmosa, nella quale non è possibile reggersi. La Divinità lo folgora con i rigori inesorabili della giustizia.
Prima si era offerto adorando, protestandosi pronto a tutto; ora geme e implora umilmente: «Padre, se è possibile, si allontani
da me questo calice!».
Vuole sperimentare le nostre ripugnanze al soffrire per impreziosire dei suoi meriti il dolore umano; vuole sentire la debolezza della natura umana da Lui assunta per nostro amore.
Andò in cerca dei suoi, pensando di trovare in essi un sollievo.., ma rimase ancor più angosciato vedendoli addormentati.
A diverse riprese provò di interessare i suoi prediletti alle sue agonie, ma non ottenne nulla.
Tornato a prostrarsi innanzi alla Maestà dell'Altissimo, si lasciò invadere dalla piena del dolore che riversava su di Lui
sempre più alti marosi: l'imminente cattura per effetto del bacio traditore, gli strapazzi, le ignominie, l'iniquo processo, la condanna, la morte! L'inutilità del suo sacrificio per tanti..
Un cosi immenso dolore su di una sensibilità tanto delicata
lo ridusse all'agonia e gli fece uscire un copioso sudore di sangue stillante fino a terra
Oh, averlo veduto in cosi lacrimevole stato.., e non sentirsene mossi a pietà fino a continuare a dormire!
Parrebbe incredibile se non ce lo dicesse il Vangelo.
Era Iddio che voleva dal Figlio il massimo dell'immolazione.
Vi fu la breve parentesi del conforto portato dall'Angelo, ma in quel momento vero Angelo di conforto fu unicamente la presenza spirituale di Maria e la prevista schiera delle anime che si sarebbero poi misticamente associate alle sue agonie (23.2.1951).
2.
Nella spaventosa lotta del Getsemani, Gesù, come un bimbo sorpreso dalla paura, dal terrore chiamava ripetutamente la Madre sua.
Ella, pur lontana, lo sentiva ed assorbiva in sé quell'onda di dolore che pareva voler sommergere il diletto Figlio, e, agonizzando con Lui, rimase quasi priva di vita.
L'adesione alla suprema volontà del Padre in unione a Gesù, la risollevò e la mantenne eretta fino al «consummatum est»
(24.2.1941).
La Madonna seguì poi passo passo il suo Gesù come se gli fosse stata realmente vicina e accolse ogni stilla di quell'agonia mortale più che la zolla che ne rimase imbevuta, penetrando tutta l'essenza di quell'ambascia.
Le sofferenze fisiche non avrebbero potuto atterrare tanto il nostro Redentore. Egli pativa nel cuore, perché sentiva il suo amore incompreso, respinto, tradito, ripagato dalla più nera ingratitudine; e proprio nel momento in cui si fece più tormentosa l'angoscia, la Madre, unita a Lui in spirito, gli ricordò quelle anime che generosamente avrebbero corrisposto al suo amore.
Tale ricordo lo confortò ineffabilmente.
Il vedere come fino alla fine dei tempi la sua Passione avrebbe ottenuto a tanti la forza di sacrificare tutto per rispondere all'invito del suo amore, per continuare la sua stessa immolazione al fine di portare al pieno compimento l'opera della Redenzione,
gli fu balsamo corroborante (28.2.1949).
Dopo la sua protesta di piena adesione alla volontà del Padre, un nuovo vigore venne a sollevare Gesù agonizzante che, con franca risolutezza, si fece incontro agli aggressori, premuroso di avvertire prima i suoi perché potessero mettersi in salvo: «Alzatevi, andiamo!».
Che cosa avrà sperimentato la Madonna al momento della cattura? Sapere il suo Gesù ammanettato e trattato in quel modo... Ella subì allora uno strazio più lacerante di quanti ne avrebbe risentiti in quelle ore tragiche.
Madre e Figlio, in quei momenti estremamente dolorosi, videro a loro conforto che il Sacramento di amore istituito nel Cenacolo - memoriale della Passione e pegno della gloria futura - mentre avrebbe perpetuato il Sacrificio, avrebbe anche permesso loro di far pregustare ai redenti i gaudi della Vita divina (1.3.1951).
3.
Parla Gesù: «Nell'ora di spasimo della mia agonia nel Getsemani ebbi a sperimentare al vivo tutti gli strazi che avrei dovuto sostenere nel fisico, ma ben più penose furono le amarezze del cuore per il tradimento di Giuda, il rinnegamento di Pietro e l'abbandono dei miei.
Quanto mi pesò la solitudine in quell'ora!
Questa solitudine continua ancora in tanti tabernacoli lasciati nel più completo abbandono.
Voi non lasciatemi mai solo.
Desidero che diventiate raggi del mio amore e della mia bontà (13.3.1941).
Se mi sarete fedeli, vi scoprirò i più profondi segreti della mia Passione interiore. E nei miei disegni che l'anima eucaristica porti scolpita in cuore una delle pagine della mia Passione.
In che modo s'imprimerà questo sigillo?
Non con segni visibili.
Perché i caratteri di quella pagina vengano incisi a fuoco nel vostro cuore, è necessario che sappiate accettare all'istante quanto di sofferenza viene permesso da me con serenità e perfetta adesione al mio volere, permettendomi di continuare in voi la mia Passione. Accettate tutto con questa attuale intenzione, perché il sigillo s'imprima in maniera da riuscire di una identità perfetta.
Il vivo desiderio di una tale assimilazione a me, vi farà incontrare le varie occasioni di sofferenza con la massima generosità, e reprimere e superare le inevitabili ripugnanze della natura.
Il ripetere il fiat conservando l'intima tranquillità mi compiace perché rende simile a me la mia creatura.
Il mio amore non può fare dono più prezioso di questo.
In Cielo le anime penetreranno più o meno la Divinità a misura della loro conformità alla Passione redentrice.
La comprensione della preziosità della sofferenza supera le forze umane, è un dono della grazia.
Alle anime eucaristiche questo dono lo faccio.
Disponetevi a ricevere in cuore l'impronta a fuoco della mia Passione interiore mediante la generosa e serena accettazione di quanto permetterò» (10.3.1941).
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