Paolo Risso |
«A mezzanotte si levò un grido: Ecco lo sposo, andategli incontro...
Le vergini che erano pronte entrarono con Lui alle nozze e la porta fu chiusa».
(Matteo 25, 6.10).
La seconda guerra mondiale
era finita. Iniziava, anche per Madre Maria Costanza, il secondo dopoguerra: sarebbero
stati gli ultimi anni della sua esistenza terrena. Ella sentiva che la sua «ora»
non era più lontana. I vuoti che le si creavano attorno, i frequenti disturbi
di salute le facevano sentire i passi dello Sposo che veniva.
Era la piena maturità, il meriggio della sua vita, quando crebbero al massimo
lo splendore della sua luce e l'incandescenza del suo amore per i singolari doni
di grazia che le venivano dati.
I suoi giorni continuarono intessuti di umili cose, ma Gesù portava a compimento
in lei la sua opera. Partecipava, nel segreto della clausura e della sua anima, alle
vicende di tutti i fratelli e sorelle nel mondo, alla storia dolorosa e gloriosa
della Chiesa, in prima linea con la sua offerta e la sua immolazione con Gesù.
Agli occhi del mondo, donna separata dalla storia. Agli occhi di Dio, «sposata»
a Lui solo e protagonista della storia, collaboratrice della stupenda e drammatica
«biografia» che Gesù Cristo scrive con gli uomini dalla sua venuta
sino al suo ritorno finale.
Con la conclusione della guerra la vita in monastero si fece più regolare,
sempre densa di amore. Ma quasi subito vennero i lutti. Il 5 maggio 1945 moriva suor
Maria Agostina del Preziosissimo Sangue. Il 22 novembre moriva suor Maria Saverio.
Un dolore grandissimo per la Madre, che preparò quelle due «figlie»
all'incontro con Dio come lei sapeva fare.
Tutto diventava offerta, dono. Ella ben sapeva che la Chiesa, l'Italia e il mondo,
in quell'ora ancora difficile, avevano bisogno di preghiera e di sacrificio.
Non mancarono le gioie. Il 31 maggio 1945 si tenne una solenne processione eucaristica
attorno alla chiesa del monastero. Era la solennità del Corpus Domini, carissima
al cuore della Madre, che disse: «Figlie mie, non c'è che una forza:
Gesù-Ostia!».
Le difficoltà economiche si fecero ancora sentire. Ella rimase tranquilla:
«Ci vuole fede - disse -. Purché serviamo il Signore con amore grande
e fedeltà, voglio rimanere tranquilla». Mostrò alle suore la
corona del Rosario, preghiera che le era carissima: «Ecco la corona delle
mie vittorie!».
«Come fa a stare tranquilla con una comunità così numerosa da
mantenere? », le domandarono. Rispose: «Dico al Signore: abbiamo bisogno
di questo e quello: tu lo vedi. Poi non ci penso più: lascio fare a Lui...
Mi basta aver detto al mio Dio: Mi fido di te.» La Provvidenza interveniva
in modo miracoloso.
Allo stesso modo si comportava con la sua famiglia d'origine. Un suo fratello e un
nipote risultavano dispersi in guerra. Maria Costanza disse alla sua comunità:
«Non so più niente di loro; ma so a Chi li ho affidati. Sono certa che
Egli saprà pensarci meglio di me». Durante l'estate del 1945 i suoi
congiunti tornarono. «Non è bello - commentò - lasciare tutto
e tutti nelle mani del nostro Dio e non preoccuparsene? Egli poi ci tiene a farsi
onore!».
Il suo volto era atteggiato sempre al sorriso. Diffondeva fiducia. Attirava a Dio.
P. Chiodi, superiore dei Missionari Comboniani, che ebbe l'occasione di avvicinarla
più volte, disse: «Non l'ho mai vista turbata, nonostante i tristi tempi
di guerra». Era la gioia che le veniva dalla partecipazione alla croce di Cristo
e dall'intimità con Lui.
Proprio in quell'anno 1945,
in agosto ricorreva il 40° anniversario del suo ingresso nella vita religiosa.
La Madre racconta nel suo diario, in data 13 agosto:
«All'alba è venuto a me Gesù con in mano una magnifica corona
da regina e me l'ha presentata con la soddisfazione dell'artista che presenta il
suo capolavoro. Era un gioiello di finissima fattura, un lavoro a cesello con incastonate
nell'oro quaranta gemme più luminose del brillante e riflettenti i diversi
colori dell'iride.
- Vengo - disse - all'alba di questo nuovo giorno, perché tu ammiri la corona
che ho potuto intesserti in questi anni della tua vita religiosa con un filo d'oro
che non si è mai spezzato, non essendoti mai sottratta volontariamente a me.
Però rimane vero che di tuo non c'è niente e che la gloria dell'opera
è tutta mia.
- Signore, come avrei potuto spezzare quel filo d'oro che stringevi tanto forte nelle
tue mani?
- Sappi, figliola, che tutte le creature ragionevoli sono dotate di libertà,
perciò la determinazione delle loro azioni dipende dalla loro volontà.
Tu eri nell'impossibilità di sottrarti all'azione della grazia solo perché
liberamente preferivi dare compiacimento alle esigenze del mio amore ed era la tua
fedeltà che intensificava la forza con la quale agivo in te, senza tuttavia
toglierti la tua libertà» (Diario, 154s).
Durante la santa Messa Gesù le fece vedere qualcosa del Paradiso e balenare
la gioia che si gode con Lui. Maria Costanza concluse, rivolta a se stessa: «Ora
tocca a te dar prova di amore al tuo Dio!»... «Il mio cuore è
tutto lassù, dov'è il mio Tesoro».
La sua anima si riempiva davvero di Cielo. Durante il mese di ottobre, nonostante
le difficoltà di salute, cercò di partecipare agli esercizi con la
comunità. Raramente le era riuscito di farlo in modo regolare con le consorelle.
Sembrava che Gesù Maestro volesse essere Lui solo a formarla per Sé.
In quell'anno la condusse a una conoscenza straordinaria delle realtà ultime:
«Quando mi fece vedere l'inferno - scrisse la Madre - rimasi tre giorni come
morta. Al solo pensarvi mi sento ancora venir meno, tanto è grande il bisogno
che ho di luce, di felicità, del mio Dio.
''Ti faccio vedere queste cose, mi disse Gesù, perché tu e le tue
figliole vi accendiate di zelo per la salvezza delle anime e nessun sacrificio troviate
troppo duro, pur di ottenere che nessuno abbia a precipitare nella dannazione eterna".
E il luogo della purificazione, il Purgatorio? Quante comunicazioni ne ho avute,
quante cose ho appreso, tutte di salutare ammaestramento. Non è facile volarsene
direttamente alla gloria... A volte sento di soffrire insieme alle Anime del Purgatorio,
tanto è viva per loro la mia compassione.
Gesù mi ha dato, in proposito, questo profondo insegnamento:
"Non disapprovo il tuo sentire, ma vorrei che, più che alla sofferenza
delle Penanti, tu pensassi al dolore del mio cuore allorché si vede costretto
a ritardare il suo abbraccio di amore ad anime predilette, mentre la loro ammissione
immediata alla Patria celeste avrebbe dato tanta gloria al Padre mio. L'approfondire
questa mia intima amarezza torna di molto sollievo alle Anime del Purgatorio. L'interessamento
per esse mi torna graditissimo. Bisogna pregare sempre per i defunti"»
(Diario, 157s).
Gesù già la preparava all'incontro con Lui.
Il 1946 portò grandi
cambiamenti in Italia. Presto sarebbero avvenuti gravi fatti nella storia d'Europa
e del mondo.
Il 24 marzo vi furono per la prima volta dopo la guerra le elezioni amministrative.
Il 2 giugno seguì il referendum per la scelta tra monarchia e repubblica e
le elezioni per l'assemblea costituente. In obbedienza alle direttive della Chiesa,
Madre Maria Costanza e le sue suore - come tutte le claustrali - uscirono dal chiostro
per sostenere con il loro voto i candidati cattolici, affinché l'Italia non
avesse a correre tristi avventure. Nell'Est europeo il comunismo, con la dittatura
e la persecuzione ai credenti, dilagava. L'Italia, liberata dalla dittatura fascista,
non doveva cadere sotto il tallone di un'altra dittatura di diverso colore.
Per il referendum, il seggio elettorale presso cui recarsi era nell'attiguo Istituto
delle Ancelle del Sacro Cuore. La Madre, nell'occasione, rivide le sue consorelle
di un tempo: fu un momento di gioia per tutte, ancora più grande quando, nei
giorni che seguirono, si seppe che i cattolici erano stati i primi nel risultato
elettorale.
La Madre offriva per l'Italia: nel suo cuore erano presenti gli umili e i potenti
della terra. Ed era l'educatrice saggia e materna delle figlie che le erano state
affidate, l'orante senza sosta per il mondo intero, come per le singole anime.
Un giorno di maggio le suore videro con dispiacere che due dei venti pulcini loro
donati a Pasqua erano stati uccisi da un animale. La Madre commentò: «Che
dolore sarà mai per il Cuore di Gesù quando Satana gli strappa le anime,
fino a farne il suo zimbello? Il Signore ha permesso che vediamo questa scena...
perché si risvegli sempre più in noi lo zelo per la conversione dei
peccatori».
In quei giorni un generale, parente di una religiosa, da cinquant'anni lontano da
Dio, era in punto di morte. La Madre trascorse una notte in preghiera per lui. L'indomani
seppe che era morto in pace con Dio.
Erano queste le sue vittorie più belle, che la riempivano di una gioia sconfinata
e la ripagavano delle sofferenze che non le mancavano mai. Dal suo Sposo ella otteneva
tutto, quando si trattava della gloria di Dio e della salvezza delle anime. È
quanto è venuto a cercare Gesù sulla terra e continua a operare nella
Chiesa: è il suo mirabile mistero d'amore, che si prolunga nell'Eucaristia.
M. Maria Costanza riteneva che non c'è null'altro da fare al mondo che questo.
Per farlo, diventava ogni istante più una cosa sola con Gesù eucaristico.
Di qui la sua gioia.
«Ho intuito - scrisse il 1° agosto 1946 - come il compiacimento più
gradito e desiderato che si possa dare all' Altissimo sia quello di farci vedere
compenetrati della sua stessa felicità, immutabilmente sereni... La perfetta
conformità ai voleri del Padre finisce per farci godere della felicità
di Dio...
Non mi sento fatta per il dolore. Fin da piccolissima, sentivo di essere fatta
per la gioia; e se la vita di consacrazione a Dio non si fosse potuta conciliare
con questa mia profonda aspirazione, non sarebbe stata per me...
Pur essendo largamente favorita del dono della sofferenza, non mi ci posso fermare.
La natura sensibilissima la sente e opporrebbe un moto di ripulsa al patire, ma la
volontà prontamente reagisce, entrando nella bellezza dellí"offrire",
sicché posso dire, in verità, di non aver mai sofferto, ma di essere
passata di gioia in gioia» (Diario, 160s).
Quasi al culmine della sua «storia» con Gesù, testimoniava che
se a tutto aveva rinunciato, da Lui aveva ricevuto il centuplo: l'amore e la gioia,
senza misura. E ora camminava serena e forte verso la gioia eterna.
«Il centuplo e l'eternità» (Mt 19,29).
Era sempre più aperta
alla Chiesa e acquistava, man mano che saliva verso l'alto, un raggio di irradiazione
universale. Sapeva della tragedia terribile che la Chiesa, in primo luogo nei suoi
ministri, pativa tra lacrime e sangue nell'Est europeo con l'avanzata del comunismo
ateo: vescovi e sacerdoti imprigionati, a volte uccisi, credenti calpestati nei loro
diritti più elementari, chiese e seminari chiusi. Le vicende dolorosissime
del card. Mindszenty, Primate di Ungheria, di mons. Beran, arcivescovo di Praga,
di mons. Stepinac, arcivescovo di Zagabria, le erano note.
Nello stesso tempo sapeva del sorgere di una «teologia nuova», modernista,
che avrebbe potuto scuotere i fondamenti della fede: papa Pio XII si apprestava,
con l'enciclica Humani generis nel 1950, a richiamare tutti alla fedeltà
al Credo cattolico.
«La Chiesa - scriveva la Madre il 19 gennaio 1948 - attraversa un
periodo assai arduo: ed è necessario cooperare con l'immolazione ai suoi trionfi.
Ma lo faccio molto soavemente e potrei assicurare che la sofferenza non è
neppure avvertita, tanto sono intimamente tenuta unita al mio Signore»
(Diario 163).
Era malata in quei giorni, e offriva a Dio le sue sofferenze con intensità
d'amore, contemplando i divini Misteri come le erano presentati dalla Liturgia. È
tutto un susseguirsi di illuminazioni stupende sull'Incarnazione del Verbo, sulla
sua oblazione al Padre, sulla sua Passi,one, Morte e Risurrezione.
Tutto in lei tendeva all'immedesimazione con il Mistero della Pasqua di Cristo, e
in Lui, morto e risorto, il Vivente sentiva il cuore riempirsi di gioia. «In
quest'ultima commemorazione del Mistero pasquale - scrive dopo la Pasqua del 1948
- Gesù ha voluto lasciarmi intuire la gloria che venne all'Altissimo nell'istante
della sua Risurrezione, mirabile compendio della Redenzione, ed ho potuto rilevare
questo nell'incontro del divino Risorto con la Madre sua».
Intuiva, Madre Maria Costanza, di essere giunta all'ultimo periodo della sua esistenza,
ma dichiarava: «Non mi sento vecchia, perché, nonostante i miei 62
anni, ad ogni giorno che passa ho l'impressione di ringiovanire, tanto mi sento aperta
ai più freschi entusiasmi; ma la mia vita interiore ha raggiunto una tonalità
così alta da darmi il senso del prossimo fine, dello sfociare nella beatitudine
eterna» (Diario, 164s).
Viveva ormai una grande intimità con le Tre Persone Divine, in un'atmosfera
pura, tersa, serena, in pace e in espansione d'amore. Era il Paradiso che iniziava
già sulla terra, in attesa che cadesse il velo del corpo ed ella potesse vedere
Dio così come Egli è.
Vita trinitaria, cristocentrica, liturgica, mariana, e insieme intensamente ecclesiale,
in cui coinvolgeva le suore della sua comunità. La sua offerta era in primo
luogo per i sacerdoti, per le vocazioni.
Lo ricordava spesso alle adoratrici. Quando qualche sacerdote in partenza per le
missioni le chiedeva che una suora pregasse per il suo apostolato, ella gli rispondeva:
«Padre, non una, ma tutta la comunità, fin da questo momento, s'impegna
a pregare per lei!».
Nel settembre 1948 il cardinale di Bologna promosse una settimana di preghiera per
l'unità dei cristiani. Le adoratrici parteciparono nella loro chiesa alla
Messa celebrata in diversi riti e si comunicarono sotto le due specie. Madre Costanza
scrisse: «L'unità di tutta la Chiesa potrà sembrare cosa impossibile
a raggiungersi; ma, essendo rimasto sulla terra, a pegno di unità, il Sacrificio
dell'altare e il SS. Sacramento, si può stare certi che la parola di Gesù
diverrà realtà. Per la forza stessa del Sacramento eucaristico,
per la divina onnipotenza del glorioso e immortale Re dei secoli, verrà
giorno (e non sarà molto lontano) in cui si farà un solo gregge sotto
un solo pastore». (Diario, 166).
Dunque, la santità, l'unità della Chiesa, il sacerdozio nel suo splendore
apostolico, per un'esplosione di amore che dilaga da Gesù eucaristico attraverso
Maria Costanza (e le sue adoratrici) sempre più«una con Lui».
Si faceva fragile la Madre
nella sua salute, ma forte nell'amore e nella gioia. Aveva la speranza di potersene
«andare presto» e insieme il desiderio di rimanere per il bene delle
sue «figlie» e la certezza di essere loro più utile dal Paradiso.
Quando le forze fisiche le venivano meno, posava la testa sul Tabernacolo per attingere.
Il giovedì santo 1949, annotò: «... in quel contatto, compresi
quanto mai chiaramente l'intima essenza dell'Eucaristia. Mi parve penetrare l'ampiezza
del palpito d'amore del Cuore divino per le sue creature e lo sentii, quel palpito
di vita, trasformarsi in me per immettere nel mio essere qualcosa della corrente
di vita che circola in seno alla Trinità fra il Padre, il Figlio e lo Spirito
Santo...
Gesù era lì: vita dell'anima, con le immense ricchezze della sua
carità e della sua grazia, per farsi palpito del mio cuore, sollevarmi al
Padre, rendermi partecipe del suo gaudio. Come per me, per tutti i suoi Sacerdoti,
per le sue consacrate, per tutte le anime redente. Egli attende soltanto che le
anime si avvicinino a Lui per mettere a loro disposizione tutto il suo amore».
Sarebbe stata, Madre Maria Costanza, sempre lì, vicino al Tabernacolo, in
adorazione di Gesù eucaristico esposto sull'altare. Fin dall'inizio della
sua vita religiosa l'aveva compreso, ma ora lo sentiva con una dedizione bruciante,
incontenibile: se Gesù è lì ed è tutto, dove vuoi
andare?
«Quello che è per me rimanere davanti a Gesù vivente nell'Eucaristia
- scriveva nell'estate 1949 -non posso dirlo a parole. Vorrei potervi rimanere di
continuo. È vero che mi segue dovunque, mi parla, mi tiene occupata di lui
fin nel parlatorio, ma in cappella è un contatto, una comunicazione ben diversa.
Allora sono proprio nel mio centro, nel mio cielo!».
Lui, lo Sposo divino, ormai la preparava all'incontro:
«D'ora in poi - mi dice Gesù - la tua vita sarà
più di cielo che di terra, perché io ti voglio con me ad altezze sublimi.
Non sgomentarti per l'ardua ascesa, perché sarai sollevata dalle mie braccia,
sebbene sia necessario anche il tuo generoso concorso. Desidero portarti sulla vetta
della montagna della perfezione, perché soltanto toccata quella si può
raggiungere quell'unione consumata che apre alla conoscenza del Padre» (Diario,
167s).
Prima che l'anno si chiudesse, tornò a celebrare la santa Messa nella chiesa
delle Adoratrici mons. Giulio Facibeni, di Firenze, fondatore dell'Opera «Madonnina
del Grappa» a favore della fanciullezza. La Madre vide in lui il sacerdote
fatto davvero immagine, «specie », di Cristo: «Mentre era all'altare
ho visto su di lui una bellissima luce, significante come Gesù lo avvolgesse
nella più ardente effusione della sua carità».
All'inizio dell'anno santo 1950 ebbe da Dio un dono singolare a favore di un suo
Ministro, martire della Fede. Così racconta la Madre nel suo diario il 2 gennaio
1950:
«Il Signore mi ha portata, non saprei dire come, nella segreta del carcere,
dove si trova rinchiuso il Cardinale Mindzenty... Quale spettacolo pietoso! La
nobile, dignitosa figura del porporato, ridotta irriconoscibile... rannicchiato in
un angolo... immiserita, avvilita nella veste di galeotto.
Ho insistentemente supplicato il Signore di ridonargli l'intelligenza, affinché
potesse tornare meritorio quel martirio. La bontà compiacente del mio Dio
mi ha subito esaudita e il povero Cardinale è parso rientrare in sé...
Ha rievocato tutto, ed il suo primo pensiero è stato per il Santo Padre, per
il suo popolo, per la sua mamma.
Mentre pregando rinnovava la sua offerta, ho visto venire la Madonna con tutto l'occorrente
per la celebrazione del Santo Sacrificio... Le intenzioni da lui poste sono state
il trionfo della Santa Chiesa, e del Sommo Pontefice, la salvezza del suo gregge.
La Madonna mi ha promesso di continuargli la sua assistenza... Gli va procurando
il modo di poter fare la santa Comunione, ma ogni volta che i custodi rilevano che
il cardinale prigioniero è rientrato in sé, maliziosamente tornano
a propinargli le droghe... Che cosa permetterà il Signore? ».
Il Signore avrebbe glorificato il suo servo fedele, cardinal Mindzenty, con il martirio
della lunga prigionia nel carcere comunista, poi del rifugio silenzioso e orante
presso l'ambasciata americana a Budapest, infine con la liberazione, nel 1971, per
opera di papa Paolo VI, e gli ultimi anni ancora operosi di apostolato a Vienna.
Oggi la sua salma, dopo il crollo del comunismo nell'Est europeo, è potuta
ritornare nella sua cattedrale di Budapest, e sembra essere non lontana - lo speriamo
- la sua beatificazione.
Madre Costanza non vide tutto questo, ma si consumò per il trionfo della Chiesa
in ogni luogo della Terra.
Sul futuro della Chiesa
Gesù le fece intravedere qualcosa dei suoi piani.
Nell'anniversario del suo battesimo, nell'aprile 1950, Gesù le disse: «Voglio
farti un bel regalo, proprio quello che desideri e gradisci maggiormente».
«Tutto quello che mi viene da te mi è ugualmente gradito».
«Sarà un regalo tutto di gioia, con il quale voglio festeggiare il tuo
giorno natalizio».
«E mi ha sollevata al Padre... Quello che ho visto in Lui... è rimasto
quale sole abbagliante sulle mie potenze spirituali... Questa volta il dono che mi
ha fatto è stato tale da superare le mie più ardite aspirazioni, sicché,
con la gratitudine più piena, non faccio che ripetergli: Come sei buono!».
Continua Madre Maria Costanza:
«Poi Gesù mi ha detto: "Proprio in questi tempi, in cui l'orgoglio
domina e trionfa, mi suscito una falange di piccolissime anime aperte alla fiducia
in me; e sulla loro estrema fragilità, abbandonata alla mia onnipotenza, edificherò
il mio capolavoro.
E saranno queste povere minime creature (delle quali tu sei regina) che io solleverò
fino al Padre, per farlo conoscere ad esse.
Questa via, sulle prime, troverà non pochi oppositori, ma in seguito sarà
quella percorsa per attuare la riforma che rinnoverà la mia Chiesa e adunerà
intorno a me quella falange già richiesta dalla mia piccola Teresa di Lisieux.
Attendete, con semplicità evangelica, a compiacermi in tutto e sempre, senza
troppo sgomentarvi delle inevitabili cadute (purché non siano di malizia).
Il mio amore tutto consuma, donando all'anima umile, fiduciosa e abbandonata alla
mia bontà, una trasparenza invidiabile.
I più piccoli mi attirano irresistibilmente"» (Diario,
173).
In questo stile di fiducia e di confidenza, di infanzia spirituale, la Madre, con
forza e soavità, guidava le sue «figlie». Esse la sentivano ormai
posseduta da Dio, partecipe dei suoi segreti. Non si riteneva «superiora»,
perché - diceva - la vera superiora dell'Arca Santa poteva essere solo la
Madonna.
Una gioia grandissima sperimentò il 1° novembre 1950, quando Pio XII proclamò
il dogma dell'assunzione di Maria in cielo in corpo e anima. Le sembrò che
il Paradiso si aprisse su di lei, e quanto più si univa a Dio, tanto più
condivideva il suo progetto di amore per l'umanità:
«La nostra vocazione... vuole che ci diamo a tutti i fini abbracciati dalla
carità. Compresi ciò fin dalla mia professione; ed ora per quante missioni
mi sento adoperata! Mi pare di poter svolgere il mio invisibile apostolato a favore
dell'intera umanità, come se già fossi fuori della vita terrena. Il
palpito dell'amore di Gesù per il Padre suo e per le anime mi pervade tutta
e sento veramente miei gli interessi del mio Sposo» (Diario,
174).
Così sentiva sul suo cuore la sofferenza di tutti, come era avvenuto durante
l'ultima guerra. Le inondazioni del Polesine, con i disastri avvenuti in quei mesi,
la consapevolezza vivissima dello scempio dell'innocenza dei bambini, del dilagare
dell'immoralità nei costumi, le erano motivo di preghiera, di riparazione,
di offerta.
Era convinta che Gesù eucaristico è l'unico Costruttore di una nuova
civiltà, la civiltà dell'amore, e che ella, con numerose anime chiamate
alla contemplazione e all'adorazione, erano partecipi della sua missione: «L'unica
ancora di salvezza per il mondo è Gesù in Sacramento... I centri eucaristici
sono baluardi di difesa per città, province e intere nazioni. Quale straordinaria
potenza si racchiude nell'Ostia consacrata e come questa potenza si compiace di venire
svincolata dalla preghiera di anime amanti!».
Si impegnò ancora di più a formare le adoratrici, come Gesù
le vuole, «le piccolissime anime» per la santificazione dei sacerdoti
e di tutti i fratelli: «Ho chiesto alla Madonna di volerei indicare un metodo
semplice, alla nostra portata, per convenientemente adorare... Mi disse: "...
chiama in aiuto e abituati a farti precedere dal tuo Angelo Custode"».
Ed era ormai vicina alla vetta.
Il 13 marzo 1952 il card.
Nasalli Rocca si spegneva serenamente, dopo trent'anni di servizio alla sua Bologna.
Da Ravenna arrivò a succedergli, nel vespro del 22 giugno 1952, l'arcivescovo
Giacomo Lercaro, nativo di Genova.
Nel monastero dell'Arca Santa arrivarono le vocazioni. Fu una grande gioia per Madre
Costanza, anche se in lei ormai ardeva la nostalgia struggente della eterna unione
con lo Sposo divino.
D'ora in poi, nell'impossibilità di narrare la sua ascesa verso il traguardo
che «solo amore e luce ha per confine», lasciamo a lei la parola.
Il giorno del suo compleanno, nell'aprile 1951, la Madonna le disse: «Presenterò
io la tua anima a Gesù, come un piccolo cielo di amore!».
Maria Costanza vide Gesù al suo fianco e gustò in anticipo la gioia
del Paradiso, con il desiderio di stare con Lui per sempre. La Madonna le fece osservare:
«Non pensi che queste figliole che ti sono affidate hanno tanto bisogno di
te? Lavorale, raffinale, abbi pazienza ancora un poco e non desistere dal compiere
fedelmente la tua ardua missione. Non ti sgomentino le difficoltà. lo ti aiuterò
sempre. Abitua le anime a ricorrere prontamente a me in tutte le circostanze difficili
con filiale confidenza: a misura della loro fiducia, avranno la mia risposta. Non
desidero che di potermi valere dei poteri che Dio mi ha conferito a vantaggio dei
miei figli» (Diario, 178s). L'intimità con Gesù si
fece inenarrabile.
«Il SS. Sacramento - scrive la Madre il 20 maggio 1951 - è
il mio Cielo e se mi fosse tolto tutto e mi rimanesse soltanto la possibilità
di starmene in adorazione dinanzi all'Ostensorio, sarei pienamente felice».
«Gesù mi è sempre accanto, moltiplicando le sue finezze. Mi dice:
"Fai bene a non preoccuparti delle cose materiali, rimani tutta a mia disposizione
e ti farò vedere cosa voglia dire fidarsi dell'Onnipotente" ... Il
più tenero dei babbi non avrebbe per la sua famiglia le delicate premure che
dimostra per noi» (16 luglio 1951).
«Nessuno sposo tenero e amante potrà mai fare tanto buona compagnia
alla sua diletta quanta ne fa a me il Signore!... L'anima vede in Lui il mistico
Ponte che le permette di varcare l'abisso e di congiungersi alla Divinità.
Quanto è buono!» (13 settembre 1951).
«Gesù mi ha chiesto: "Ma perché sei sola? Non hai nessuno
da portare con te? Dove sono le persone che volevi presentarmi?". "Signore,
ho risposto, quando vengo così attratta dal tuo amore... non sono più
capace di pensare ad altro...". E Lui: "Ti è dunque impossibile
enumerarmi persone, casi... Sta' pur tranquilla, perché non potresti altrimenti
giovare tanto salutarmente al bene del prossimo come quando attendi a compiacere
il mio amore! Se si conoscesse quanto sia fruttuoso un simile apostolato tutto nascosto
che per le vie segrete della grazia opera meraviglie di conversioni, di santificazione
ed elevazione e impegna la mia onnipotenza a intervenire nei momenti più gravi...
Una sola piccola anima, intimamente unita al mio cuore e quasi nascosta nel seno
del Padre, si fa canale ai miei torrenti di grazia e di misericordia per la Chiesa
e per il mondo"» (8 ottobre 1951).
Il Signore stava per chiederle, in una «notte oscura» dell'anima, l'immolazione
suprema. Quasi più nulla avrebbe avuto delle grazie straordinarie con cui
l'aveva accompagnata, e avrebbe camminato solo nella fede.
«Dopo la deliziosa intimità nella quale ero stata portata - annota il
19 dicembre 1951 - mi trovava interamente abbandonata dal Signore, quasi non ci si
fosse mai conosciuti». Non si scoraggiò, perché, al di là
dell'ombra, sapeva che Lui c'è, vicino, luminoso, onnipotente:
«Dirò - continua a scrivere - che mi sento più contenta
ora che ho motivo di dare qualcosa che non quando non facevo che ricevere».
Concludeva, alla fine dell'anno: «Sono giunta a quella fase del mio cammino
spirituale che mi fu mostrata fin dai primi anni di religione... Allora vidi che
mi era riservato in fine un periodo nel quale avrei vissuto in pieno il vero annientamento
eucaristico, nell'abbandono e nella privazione di ogni conforto... in piena consumazione
del mio olocausto per i fini della vocazione» (Diario, 180-186).
Nella «notte oscura»
sentiva ormai i passi dello Sposo che veniva a chiamarla alle nozze eterne. Non vedeva
più nulla, c'era solo la fede a sostenerla, a illuminarla nell'attesa di Lui.
Ed è proprio qui che Madre Maria Costanza appare una donna grande, «sorella
della grande S. Teresa d'Avila», donna della sua stessa razza (E. Rigazio in
Diario, 153).
Dal diario raccogliamo i suoi aneliti più intensi a Colui che era tutto il
suo amore, la sua gioia.
«Gesù mi assicurò che nulla era cambiato per me, che eravamo
sempre nella più stretta intimità e che quanto permetteva era un adoperarmi
per i suoi fini... L'adorazione al SS. Sacramento è tutta la mia vita»
(7 gennaio 1952).
«Questo tempo che ancora mi è dato di prova debbo impiegarlo nella imitazione
della mia Madre celeste: con Lei e come Lei, nell'amore, nell'adorazione, nella
continua lode al mio Dio» (20 gennaio 1952).
«Agli stati dell'orazione più sublime preferisco il presente e ne valuto
sempre più l'eccellenza. Mio centro di vita e di riposo è l'adorazione
innanzi all'Ostia santa. Mi pare che le illustrazioni, visioni o altro non farebbero
che disturbare l'intimità della mia unione con Lui...».
«Non occorre altro. Lo amo. Mi sento amata. Sono in Lui. Mi basta per conservarmi
nel perfetto gaudio» (15 luglio 1952).
«Continua l'assoluto silenzio, ma è il silenzio dell'eternità.
Il silenzio in cui si avvolge l'intima vita divina in seno alla Trinità e
che silenziosamente viene comunicato alla sua povera creatura...
Pregusto gli eterni silenzi della beatitudine, senza che le moltissime difficoltà
del momento mi distolgano dall'adorazione e turbino la mia serenità»
(2 dicembre 1952).
«Uno sprazzo di luce ha interrotto per un poco le mie tenebre. Mentre ero al
mio turno di adorazione, il Signore mi ha fatto contemplare le meraviglie interiori,
i tesori di grazia che adornano la Madonna nella gloria del Cielo...
La Madonna mi ha investita così fortemente del suo ardore di carità
che la mia anima è ora tutta immersa nell'amore, nella lode, nella riconoscenza
alla bontà del divin Padre. Pensando che questa illustrazione fosse un
cenno che mi si dava della mia prossima partenza, ne ho chiesto alla mia buona Madre;
ed ella mi ha fatto comprendere che dovrò attendere ancora un poco e mi ha
raccomandato di incentrare sempre più la mia vita nel Mistero eucaristico»
(1 ottobre 1953; Diario, 187-193).
L'8 dicembre 1953 Pio XII inaugurava l'Anno Mariano, nel centenario della proclamazione
del dogma dell'Immacolata Concezione di Maria. Pochi giorni dopo, in data Natale
1953, Madre Costanza scriveva: «Fin dai primi giorni della novena mi sentii
investita e penetrata da Dio con tale forza da farmi pensare che quell'inesprimibile
presa di possesso m'immettesse per sempre nel Centro della Vita. Quando sarà?».
La sua «ora» era vicina, imminente. Gesù le donava l'ultimo tocco.
«Ora sono a banchetto con i miei Tre e mi ritengo la figliola più
felice accanto al mio Padre buono... Ritengo essere questa l'ultima mèta alla
quale conduce la vocazione eucaristica: portare l'anima, immedesimata, trasformata
in Gesù-Ostia, ad iniziare - nell'adorazione, nella lode, nell'amore - la
sua beatifica visione con il Padre Celeste» (4 marzo 1954).
Il 18 aprile 1954 Madre Costanza celebrò l'ultima Pasqua, su questa terra,
nella gioia, in intima unità con Gesù risorto e la Madonna. Tre giorni
dopo scrisse nel diario il suo ultimo inno alla vita, alla gioia dell'essere una
in Cristo e in Maria:
«Il gaudio dell' Annunciazione aveva dato motivo al Magnificat di Maria; ora
che la Redenzione compiuta aveva dato il suo frutto di vita, il gaudio aveva raggiunto
la sua perfezione.
Dio è felicità.
La sofferenza è castigo della colpa...
L'anima si unisce assai più intimamente e perfettamente a Dio nella gioia
che nel dolore. L'ho compreso benissimo.
In un trasporto di felicità e di amore, Maria è passata dall'esilio
alla Patria» (22 aprile 1954; Diario, 198s).
Madre Costanza stava per incontrare Gesù, Sposo e Signore, come Maria, in
un trasporto di felicità e di amore.
Il 27 aprile 1954 visse
una giornata regolare, come sempre. Durante la ricreazione di mezzogiorno invitò
le suore a cooperare alla salvezza delle anime, ripetendo quel che aveva detto la
Madonna ai bambini di Fatima: «Molti vanno all'inferno perché non c'è
chi si sacrifichi e preghi per loro».
Il pomeriggio, venuto il Confessore, le suore la videro luminosa durante la preparazione
e il ringraziamento alla Confessione. Alla ricreazione serale apparve radiosa e parlò
del santo dell'indomani, Paolo della Croce, fondatore dei Passionisti e delle Passioniste.
«Sorelle - domandò - sanno che cosa mi ha più colpito della sua
vita?».
Una le disse: «Forse dove si parla della fondazione delle Passioniste, dedicate
a contemplare le sofferenze di Gesù».
Madre Costanza rispose: «La cosa è quella, ma san Paolo della Croce
la esprime in maniera molto più bella, dicendo che le sue Passioniste avrebbero
dovuto meditare e contemplare l'eccesso di amore dello Sposo divino».
Continuò a parlare dell'ardore di carità di san Paolo della Croce che
morì consumato da quella fiamma. Poi, insieme alle suore, cantò una
lode a san Giuseppe: «Beato tra i beati, ricordati di me!».
Le suore le dissero: «Vorremmo presto un colloquio con lei». Sorrise
e promise: «Sì, una alla volta, le chiamerò tutte». Prima
di andare in coro per la Compieta, l'ultima preghiera della sera, benedisse ciascuna
con il suo Crocifisso. In coro le affidò tutte al Cuore Immacolato di Maria.
Rimase ancora davanti a Gesù eucaristico, lo contemplò a lungo... e
uscì.
Era notte fonda, ormai.
L'indomani mattina, 28 aprile 1954, la Madre non c'era a iniziare la preghiera comune
con le adoratrici. Esse andarono a cercarla nella sua cella.
Madre Maria Costanza era distesa nel suo letto, gli occhi dolcemente chiusi, il volto
sereno, come se sorridesse a Qualcuno.
Nella notte, lei sola, aveva sentito la voce: «Ecco lo Sposo che viene. Va'
incontro a Lui». Gesù era arrivato festoso e l'aveva introdotta alle
nozze eterne. «E la porta fu chiusa» (Mt 25,10).
La storia d'amore tra Gesù e Maria Costanza continuava in Cielo, in pienezza,
senza fine.
Il suo funerale, il 30 aprile 1954, fu festa grande di candore, un vero trionfo.
Nel momento in cui il celebrante, mons. Gilberto Baroni, intonò il canto:
«In Paradiso ti accolgano gli Angeli...», nel cielo grigio si aprì
uno squarcio di azzurro e un raggio di sole si posò sul feretro, inondandolo
di luce.
Sembrò il sorriso di Dio a colei che l'aveva tanto amato su questa terra.
A quarant'anni da quel giorno, attraverso la vita e la parola di Madre Maria Costanza
Zauli e la preghiera adorante delle sue «figlie», quel sorriso divino
continua ancora, con il suo amore e con la sua tenerezza.
Il sorriso, la luce di Cristo, eucaristico e glorioso, l'Unico Sole della vita e
dell'umanità.
Se tu lo segui, inizia, anche oggi, tra Gesù e te, una stupenda storia
d'amore.