Serva
di Dio |
Disprezzato e reietto dagli uomini,
uomo dei dolori che ben conosce il patire,
come uno davanti al quale ci si copre la faccia,
era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima.
(Is 53, 3)
1.
Nei vari momenti della Passione appare in tutta la sua grandezza la bontà
infinita di Gesù. E soltanto perché è buono che continua ad
amarci.
Quando si medita come il Signore è stato trattato, ci si meraviglia della
sua pazienza e si rimane stupiti conoscendo come non rispondesse a tanti oltraggi
e insulti se non con l'amore.
In Lui nessun moto di risentimento, di sdegno o di avversione per quegli uomini brutali
invasati dal demonio che facevano scempio delle sue carni, della sua dignità,
del suo onore; sembrava anzi che a certi eccessi inumani più alta gli divampasse
in cuore la fiamma della Divina Carità e dovesse farsi violenza per non dimostrare
apertamente ai suoi spietati tormentatori il suo amore per essi. Li avrebbe voluti
salvare tutti, si sentiva disposto al sacrificio supremo anche per la salvezza di
un'anima sola.
Bramò salvare Pilato e lo stesso Erode... e non mancò di insinuarsi
con la sua grazia per far penetrare la luce della Verità in quelle anime chiuse
(15.3.1951).
Con quale dignità Gesù subiva gli strazi e le umiliazioni della Passione!
Coronato di spine, percosso e ingiuriato, ingiustamente condannato, Egli teneva un
atteggiamento dolce e mansueto. E non è a dirsi quanto lo ferissero nella
sua dignità le volgarità che si permettevano i suoi aguzzini! (3.4.1943).
Questa fase del grande dramma fu forse la più umiliante, perché Gesù
venne ridotto in maniera obbrobriosa.
La sua delicatezza gli fece sentire al vivo l'umiliazione, che rimase incisa a stigma
di sangue pure nel cuore della Madre. Il dolore unificava ineffabilmente i loro
cuori, perché è proprio la sofferenza accettata per amore di Dio il
vero alimento della sacra fiamma della Divina Carità (5.3.1951).
2.
Nel colmo della sua Passione, Gesù, pur pallido ed estenuato, appariva di
una bellezza e maestà veramente divine.
Era come un'irradiazione della sua divinità che, per essenza, è amore.
I suoi occhi specialmente avevano una profondità e una luminosità di
sguardo da non potersi sostenere quando fissavano in volto. Pilato ne rimase scosso
e impressionato, e se la vile passione del proprio interesse non lo avesse oscurato,
la grazia avrebbe riportato su di lui un bel trionfo.
Come poterono quanti ebbero la sorte di vedere Gesù chiederne la morte? Quale
inconcepibile malizia!
E dire che nelle ore più oscure della Passione, quasi per un supremo sforzo
di amore, pareva che il Padre volesse far brillare nel Volto umiliato del Figlio
l'impronta della più avvincente bellezza! Di quel Volto adorabile, quale scempio
si fece nella crudelissima coronazione di spine!
Anche per la Madre, il vedere deturpare il Volto amabilissimo del suo Gesù
fu il calice più amaro.
Vedere ridotto e trattato a quel modo il suo Divin Figliolo, che fin dall'infanzia
Ella aveva servito e adorato con amorosa venerazione... E non poteva nemmeno accostarsi
a Lui per detergerlo del sangue, per lenire lo spasimo di quelle piaghe brucianti...
(15.3.1951).
Gesù la volle vicina quasi per trovare un riparo nell'amore di Lei (3.4.1950).
È misterioso questo bisogno che il Figlio di Dio vuol sentire della presenza
intorno a sé di coloro che ama... Tanto più che pare volerlo sentire
ancora, sebbene non sia più passibile e mortale, nel Sacramento eucaristico,
dal quale lamenta ancora l'abbandono, la solitudine che circonda i suoi tabernacoli.
Desidera più che mai che le sue anime eucaristiche gli rimangano vicine, gli
facciano compagnia, e che, ad imitazione della Madre sua, si offrano a sorbire il
calice della sua mistica Passione per offrire al Padre un omaggio d'amore che lo
compensi di tutte le offese che riceve dagli uomini ingrati (5.10.1951).
3.
Parla Gesù: «Se avessi avuto la soddisfazione di vedermi corrisposto
dai miei, la Passione mi sarebbe stata meno amara. Li avrei voluti nell'intimità
dell'amicizia...
Li avevo trattati come amici; per essi avevo istituito il grande Sacramento dell'amore
e dell'unità; per loro avevo abbandonato la Madre, che poi avrei lasciata
ad essi come la più preziosa eredità...; ma dopo tre anni passati alla
mia scuola, erano ancora lontani, ottenebrati, immaturi... La Madre mia, che intuiva
tutto, quanto soffri a questo riguardo! Comprendetemi nella mia Passione interiore
(8.3.1951).
Ho molto sofferto; e avevo presente la schiera delle anime che mi avrebbero permesso
di continuare a soffrire per la gloria del Padre e la salvezza di tanti fratelli.
Senza il generoso contributo di queste riparatrici, il mondo precipiterebbe nell'abisso.
Fu un conforto, questo, ma anche un accrescimento di pena, sapendo per esperienza
a quale peso ci si sottopone impegnandosi a soddisfare i diritti della Divina Giustizia...
Mi compiacciono tanto le anime che si associano alla mia Passione. Per farlo, non
occorre che abbandonarsi senza riserve al mio amore, lasciandomi libero, attenendosi
semplicemente a quella delicata fedeltà al momento nel compimento dei propri
doveri, che trova sempre il modo di perfezionarsi in tutto.
Da parte della creatura non si richiede che questa spontanea volontaria adesione;
il resto lo compio io.
Il fuoco che consumò il mio olocausto fu l'amore; ed è questa stessa
fiamma che consumerà soavemente le sue vittime.
E un ardore che mentre consuma dà vita, perché sono io, al centro dell'anima,
che vivo il mio Sacrificio eucaristico.
Quanto mai intimo alla mia creatura, la faccio vivere di me e intanto la consumo;
prendo sempre qualcosa di lei per la mia Chiesa e per tutto il mondo» (12.3.1951).
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