Serva di Dio
MADRE MARIA COSTANZA ZAULI
AMORE PER AMORE
dal «diario intimo» della Serva di Dio



PARTE TERZA
NELL'ARCA SANTA DELL'EUCARISTIA
(1933-1954)

Ouell'Ostia è il mio tutto. Il mio povero essere, come le specie sacramentali, non è che un'apparenza che l'Onnipotenza sostiene, tanto mi trovo tutta passata e transustanziata in Gesù.

1. GLI ALBORI (1933-1945)

Dinanzi al Trono dell'esposizione solenne, mi sento sotto l'irradiazione della grazia derivante dalla prima Sorgente; e, risalendo dal Figlio al Padre, mi perdo nell'eterno focolare dell'amore.

Dalla cronaca di comunità

«In quell'indimenticabile pomeriggio del 3 agosto 1933, più ancora della prodigiosa guarigione della Madre, fu sbalorditiva per tutte le presenti la naturalezza del suo comportamento. Dopo la Benedizione eucaristica, uscì con disinvoltura dalla cappella per condurci a riverire e ringraziare il Cardinale; poi, vedendoci tanto commosse e smarrite, ci riportò alle realtà terrene, impegnandoci in varie incombenze. Prima di tutto, designò le due adoratrici di turno (l'esposizione solenne, in quegli inizi, era soltanto diurna); poi mandò le altre chi in sagrestia, chi in cucina, dicendo: «Le vedo tutte colme di amor di Dio, ma non per questo potrò lasciarle senza cena...; gradirei, anzi, che tutto fosse pronto per le 19».
Siccome tutto era stato apprestato caritatevolmente dalle buone consorelle della Casa Madre, non fu difficile poter dare il segno del pasto all'ora convenuta. Ci radunammo nel semplice e disadorno refettorio. Per la Madre avevamo preparato al centro, ma lei preferì un posto laterale.
La modesta cena venne consumata in religioso silenzio, e non mancò neppure la lettura. Dopo il ringraziamento, altro avviso sorprendente: «In lode di Dio che mi ha rimessa in piedi, faremo qualche giro all'aperto!». Oh, quella prima ricreazione! Era dunque vero che finalmente si passeggiava là, su quel terreno benedetto ove il cuore presago della Madre aveva visto fiorire la mistica aiuola di gigli?
Eravamo indicibilmente commosse e non potevamo staccare gli occhi da «lei», quando la udimmo esclamare: «Che gran cosa, figliole, poter levare i nostri sguardi al bel cielo di Dio! Quanto mi attira questa grandiosa volta stellata che tanto eloquentemente parla della potenza, della sapienza e della bontà dell'Altissimo! Non si stupiscano di sentirmi parlare così; pensino che da più di dieci anni non le ammiravo queste bellezze».
Poi, con quella sua deliziosa semplicità che ce la faceva sentire al livello della nostra piccolezza, mise piacevolmente in rilievo un particolare curioso: la buona Madre Giacomina, per tutta la ricreazione (e se ne erano fatti dei giri!) aveva portato con sé una seggiola.
«Ma perché trascinarsi dietro quel peso? Dov'è dunque la sua fede? Il Signore non fa le cose a metà! Mi sento benissimo, non risento la minima stanchezza; mentre lei... dev'essersi certamente stancata. Sieda, dunque, un po'!». Un'obbedienza prontissima seguì quell'ordine, e ne rimanemmo tutte edificate e commosse».

Il rinnovato fiat

Quale agonia costò il mio rinnovato fiat!
Avevo sperimentato uno dei più intimi contatti con Dio, mi ero lusingata di essere sul punto di andarmene a Lui, e avrei dovuto invece rimettermi ad una vita comune?
Gesù m'incoraggiò a lasciarmi ancora adoperare quale tramite della sua luce per l'impostazione della genuina spiritualità dell'Opera e a non negargli nulla di quanto avrebbe chiesto.
Il mattino seguente trovai la forza di alzarmi al segno dato per la comunità e di seguirla sempre. Nel pomeriggio venne la Madre generale e ci radunò per assegnare le cariche, affinché la nuova famiglia religiosa potesse procedere ordinatamente. Sentii il mio nome accanto al titolo tanto temuto di superiora, poi quello delle altre con le loro attribuzioni. Eravamo in dieci e la maggior parte giovani, capaci di affrontare la fatica senza eccessivo sforzo.
Il 5 agosto tornò il nostro Cardinale e volle confermare con la sua autorità le elezioni fatte, dichiarandosi contentissimo di sapermi al mio posto di superiora del piccolo gregge, che aveva tanto bisogno di venire maternamente guidato e sorretto. Comprendendo il mio estremo imbarazzo, m'incoraggiò a confidare nell'immancabile aiuto di Gesù e di Maria; quindi c'invitò tutte a portarci in cappella per ringraziare il Signore, e volle che, prima della Benedizione eucaristica, venisse cantato il Te Deum.
Dall'Ostia santa, Gesù ripetè le sue promesse:
«Non sgomentarti; ti darò io al momento tutti gli indirizzi necessari: tu non avrai che da seguirmi fedelmente». Non disponevo che di L. 500 e immediatamente le impiegai per la provvista della cera. La casa era da ultimare, mancavano i pavimenti agli ultimi due piani e in essi le celle e tutti gli altri ambienti erano da ammobiliare.
S. E. Mons. Archi cominciò col saldare mensilmente le spese per il mantenimento della comunità; poi, pian piano la Provvidenza allargò i suoi rivoli.
Per la parte materiale non ebbi mai preoccupazioni né pensieri che potessero togliermi la tranquillità; non si sperimentarono qui quelle privazioni che caratterizzarono il tempo eroico di altre fondazioni, ma vi furono prove di altro genere richiedenti, e non a me sola, molto da soffrire.
Pochi giorni dopo l'inaugurazione, fummo allietate dall'arrivo di Suor Maria Ancilla e di Suor Maria Agostina. Alla fine dell'anno eravamo già in sedici e presto ne crebbero altre due, sicché tutto potè procedere con sufficiente regolarità.
Si sarebbe detto che il Signore, nel provvedere i soggetti, avesse tenuto conto dei talenti dei quali era necessario fossero dotati per l'utilità e il bene comune.
Fra noi regnava sovrana la carità, e ciò mi era di tanto conforto.
Eravamo da pochi mesi nell'Arca Santa quando un giorno mi venne riferito che erano state rubate in una chiesa due pissidi piene di sacre particole. Due di quelle ostie, fortunatamente rinvenute, vennero portate da noi e consumate in comunione.
Quando avvengono di questi sacrilegi me ne risento anche fisicamente.
Oh, quei sacri cibori abbandonati!
Noi non lo abbandoneremo mai il SS. Sacramento!
In quel tempo, non essendosi ancora iniziata l'adorazione perpetua, la sera non riuscivo a decidermi ad andare al riposo; rimanevo a far compagnia a Gesù il più a lungo possibile. Non mi venne risparmiato nessun genere di prove.
Ben presto cominciarono a circolare calunnie sulla nuova fondazione. Il fatto di esserci subito impostate come monastero di stretta clausura non fu ben visto. Le dicerie arrivarono fino all'Arcivescovo, che se ne impressionò al punto da far temere venisse nella decisione di recedere dai suoi passi. Pensai di potermi valere dell'influente aiuto di mons. Giovanni Pranzini, ma quando nell'autunno lo avemmo tra noi, al primo vederlo dovetti convincermi che, date le sue condizioni fisiche (era affetto da morbo inguaribile allo stomaco), sarebbe stato imprudente, inumano metterlo al corrente della nostra situazione preoccupante in un momento in cui aveva troppo bisogno di crederci felici.
Celebrò nella nostra cappella e tutte potemmo accorgerci della gravità del suo stato e come gli fosse impossibile vincere la commozione. Ci rivolse la parola, ma appena udibile tanto era indebolita e velata di pianto: «Con Simeone, posso ormai cantare il Nunc dimittis. Il mio compito a vostro riguardo è finito. Nel giorno benedetto dell'apertura di quest'Arca Santa rinnovai la mia offerta per i fini della nostra comune vocazione... e, lo vedete: sono stato preso in parola. Ma ne sono ben contento!».
Dunque, le mie povere figliole non avrebbero nemmeno più potuto avere l'indirizzo sicuro di una direzione spirituale qual era quella preziosissima di quel dotto e santo Prelato...
Solo Gesù avrebbe potuto colmare ogni vuoto e asciugare ogni lacrima, e allora chiesi ed ottenni di poter conservare perpetuamente e solennemente esposto il Santissimo Sacramento.
Fu nella bella novena di Natale, che ci fu concesso l'inestimabile favore, sicché la Notte Santa parve e fu per tutte una realissima ripetizione del mistero di Betlemme: Gesù, dai candidi veli eucaristici, sembrava ci sorridesse come già, dal presepio, aveva sorriso alla sua Madre benedetta.

Si realizza un sogno

Per sola grazia del Signore continuavo a reggermi e a mostrarmi serena, mentre avevo l'anima nel torchio; pure, quel soffrire pareva rafforzare la mia fede ed aspettavo sicura l'ora delle divine misericordie.
Un giorno, all'elevazione della Messa, sentii dirmi:
«Perché ti turbi? Fidandoti di me, che cosa ti è mai capitato di male?». Quelle parole mi tolsero di dosso un gran peso. Sentivo rumoreggiare la tempesta sotto di me, ma lo spirito, al dissopra di tutto, respirava liberamente. Mi sentii contenta di soffrire e ringraziai il Signore.
Compresi che la nostra vocazione dovrebbe portarci a vivere come dei piccoli tabernacoli viventi; ma la comunione di amore è pure comunione di dolore.
Il nostro Cardinale Arcivescovo, giudicando opportuno rendere l'Opera autonoma, fece i passi necessari per ottenere la facoltà di erigerla in congregazione diocesana.
La data della vestizione dell'abito bianco per tutte venne fissata al 7 dicembre 1934, vigilia dell'Immacolata.
Mons. Pranzini, al vedere la nostra candida divisa, pianse... e quale commozione provai io pure quando, la sera precedente la cerimonia, vidi accuratamente preparati tutti quegli abiti bianchi! Ricordai un sogno fatto da una delle piccole educande del Collegio S. Giuseppe e che passò di bocca in bocca: «Ho sognato Suor Costanza e con lei altre suorine tutte vestite di bianco!».
La mattina del 7 dicembre venne l'Eminentissimo col suo seguito di monsignori e seminaristí: prima di iniziare la S. Messa, procedette alla consegna del nuovo abito santo a noi già professe. Uscímmo per rivestircene e, rientrate processionalmente in coro, tornammo ad inginocchiarci innanzi al Celebrante per ricevere nome e cognome.
Al termine del Divin Sacrificio potè essere svolto per intero il rito della vestizione per le nove probande, che lasciarono il bruno abito del loro periodo di prova per assumere la candida veste di risurrezione. Quest'ultima parte fu la più suggestiva, perché ognuna delle giovani aveva al fianco la propria madrina, sicché, come mi ebbe a dire uno dei Sacerdoti presenti, quando ci videro sfilare tutte diciotto, pensarono alla processione delle Vergini che, nella Gerusalemme celeste, seguono l'Agnello ovunque vada...
Ben presto dovetti convincermi che, considerandoci tutte come novizie, il Signore ci voleva molto più seriamente impegnate nel lavoro della nostra formazione spirituale.
Per darmi modo di compiere i doveri inerenti al mio ufficio, anche quando l'infermità mi tratteneva o ero impegnata in parlatorio, mi faceva seguire la comunità come se fossi stata presente. Se si verificava qualche inconveniente, lo avvertivo subito, e il Signore mi voleva ferma nelle riprensioni. Per natura, sarei portata a risparmiare, ad usare riguardi, ma Gesù mi faceva capire che la mia debolezza avrebbe privato Lui della soddisfazione che gli avrebbe dato un generoso sacrificio, e le anime di un prezioso ornamento di grazia.
Le ricordavo le bellissime cose dette a me, quando mi voleva persuadere a lasciarmi adoperare per l'Opera; sentivo la forza del suo desiderio di poter trovare nelle anime tutte sue un rifugio, un riposo, una riparazione.

Preziosa morte del santo vescovo di Carpi

Intanto mons. Pranzini andava rapidamente declinando e il peggioramento estremo, per colmo di amarezza, si verificò mentre era al Seminario di Villa Revedin, lontano dalla sua diocesi. Per telefono potei seguire la commovente funzione della sua professione di fede, del Viatico e Unzione degli Infermi e, inginocchiata come fossi stata presente, potei associarmi a quella agonia.
All'una e mezza della notte 22 giugno 1935, il santo vescovo di Carpi spirò. La mattina seguente vidi aprirglisi il Paradiso ed ebbi la promessa che di lassù avrebbe continuato a proteggerci.
Tante prove furono forse la causa della riapertura di un'ulcera che da tempo avevo allo stomaco, complicata dal manifestarsi di un tumore voluminoso al punto da mettere veramente pensiero.
Umanamente parlando, unico rimedio sarebbe stato un pronto intervento chirurgico; ma, date le condizioni del cuore, come avrei potuto sostenerlo? Non avendo nulla da poter dare alla mia comunità, non avrei dovuto essere contenta di poter disporre per essa di un più largo contributo di immolazione?
Nel settembre di quell'anno entrarono un bel gruppo di giovani (sei), e si potè dare inizio a un più regolare lavoro di formazione.

Il Decreto di erezione

La mattina del 9 dicembre 1935 resterà una data doppiamente sacra per noi. Le prime diciotto ancelle adoratrici del SS. Sacramento emisero la loro professione temporanea e perpetua; e, come preludio alla cerimonia, venne letto dal Cerimoniere il Decreto di erezione dell'Opera in congregazione diocesana, «avente a capo una superiora generale che può dirsi anche fondatrice: Suor M. Costanza del S.C....». A quelle parole sentii su di me un peso immenso, e la sofferenza fu tale che mi immobilizzò poi per varie ore.
Ciò che mi confortò fu il vedere il divino compiacimento sulle professande. Nel leggere la bella formula dei santi voti, intuii quanto mi avrebbe impegnata quella mia rinnovata donazione a Dio e sentii maggiormente l'umiliazione che mi veniva da quel titolo che mi era stato dato di «fondatrice». Avrei voluto che tutti, in quel momento, mi avessero vista come mi vedevo io fra le anime belle che avevo al fianco. Quale chiara cognizione mi venne data della mia estrema miseria!
Fortunatamente Gesù ebbe sempre bisogno di sostituirsi in pieno a questo poco di polvere. Sarà appena credibile fino a qual punto lo abbia fatto. Illuminava, guidava, consigliava, e non soltanto per cose di rilievo, ma anche per le minime. Voleva che mi conservassi sempre quel vuoto attraverso il quale poter far passare la sua grazia per le anime.
Oh, le anime! Ecco quello che mi ha sempre occupata. E specialmente quelle sacerdotali e consacrate.
Fin dai primi anni della mia vita religiosa, molti favori mi furono tolti allorché mi vennero affidate le anime. Gesù ebbe la delicatezza di chiedermi se avessi accettato me ne privasse in favore dei suoi Sacerdoti. Non volli se non che si compisse il suo desiderio, ed Egli, per incoraggiarmi al sacrificio, varie volte mi fece vedere come accostasse al cuore i suoi prediletti.
Quanto li amo!
Ora ci vorrebbe tutte quanto mai generose per i fini della nostra vocazione. Spesso dall'Ostia santa viene questo grido accorato:
«Fammi amare da queste anime! Non sono abbastanza amato!».
Gesù, assetato del nostro amore, ci desidera tutte per sé, unicamente occupate di Lui.
Mi sento unita alle mie figliole con un vincolo di maternità spirituale sentitissimo. La maternità spirituale impone a volte vere immolazioni. Senza un aiuto dall'alto, mi sarebbe impossibile mantenermi calma, serena. Anche il mio fisico ne resta coinvolto, ed è più che evidente l'intervento della Divina Onnipotenza su di esso, essendo ugualmente tormentosi e logoranti i due estremi per i quali vengo fatta passare: i rigori della Giustizia e gli ardori consumanti della Divina Carità. Quanto bramerei potermene andare al mio Dio! Eppure sento di dovermi trattenere dal dimostrargliene il desiderio per poter rimanere con la mia comunità.
Erezione del nuovo tempio eucaristico
Il vescovo mons. Archi, essendosi reso personalmente conto di quanto la nostra cappella fosse insufficiente per la comunità e non abbastanza decorosa per l'esposizione solenne del SS. Sacramento, volle che si pensasse ad erigerne una nuova, offrendosi a sostenere la spesa della fabbricazione.
Non ci fu poco da fare perché ingegneri, artisti e competenti entrassero nelle viste dell'Artefice sommo... Fu Lui a volere che l'Altare riportasse le impronte del candore, dell'oro e della porpora, simboli di purezza, carità, immolazione, e che vi figurassero gli Apostoli Pietro e Paolo.
Con una sollecitudine che sarebbe parso impossibile sperare, il progetto del nuovo tempio vide la sua attuazione il 28 agosto 1936 con la posa della prima pietra, e parve che il Signore rinnovasse i prodigi operati per la costruzione di quello di Gerusalemme... Non si ebbe a lamentare nessun inconveniente: la clausura non venne minimamente disturbata, tanto risultò perfetta l'organizzazione della corporazione operaia assunta.
6101936. Giorni fa sentivo tanto la bontà del Signore che fin da ogni pietrino di questa casa benedetta mi pareva si elevasse un inno di lode e ringraziamento a Lui. Fu sotto questo impulso di grazia che, giunta fra le mie figliole, parlai. Non potevo dominarmi e ripetevo: «Quanto è buono il Signore!». Quando poi una delle suore notò semplicemente: «Madre, le vuol molto bene il Signore!», mi parve che il cuore mi scoppiasse in petto. È vero che mi vuol bene! Mi sento come inabissata nella Divina Bontà...
La conoscenza che viene in tal maniera anche di uno solo degli attributi di Dio illumina l'anima e le fa comprendere di Lui immensamente di più di quanto lo potesse per mezzo di lunghi studi.
Sono rapide comunicazioni divine (ritengo non durino che pochi minuti); più a lungo, il debole cuore umano non potrebbe sostenerle.
È una sofferenza gaudiosa, se si vuole, ma assai più consumante di qualsiasi altro genere di patire.
In parlatorio, dovevo parlare con l'ingegnere, e nello stesso tempo dovevo seguire la contemplazione della Bontà di Dio.
Come ci si trovi sulla terra dopo simili assaggi di cielo non è possibile dirlo. Queste sono le vere sofferenze, quelle che la Madonna ha conosciuto e che hanno costituito il suo martirio d'amore.
Le mie esperienze di Dio sono semplicissime, perché io sono tagliata molto all'ingrosso..., ma non mi lasciano ombra di incertezza. Mi lascio guidare dal Signore senza timori, proprio come una bambina.

La visita della Madonna di S. Luca

Per la solennità dell'Assunta 1937 si potè dare una prima benedizione alla chiesa appena ultimata. La mattina per tempo volli andare da sola a visitarla. La vidi nel pieno compiacimento del Signore. Pensai alle tante anime generose che in essa Lo avrebbero adorato, amato, glorificato.
Essendo allora in corso la «Peregrinatio Mariae» con la venerata immagine di S. Luca, si ottenne che la Madre divina venisse a... rendersi conto della dimora che avremmo presto dedicata al suo e nostro Gesù.
All'alba del 29 di quello stesso mese, la taumaturga immagine di Maria venne introdotta nella clausura e, al canto del Magnificat, accompagnata processionalmente nel nuovo tempio ove avevamo preparato un altare sul quale il nostro Cardinale celebrò la S. Messa.
Quante cose mi vennero fatte comprendere mentre ammiravo nei tratti di quella antichissima pittura un fedele riflesso del volto della santissima Vergine! Quando la rimossero, sentii che non in figura, ma in realtà tutte ci avvolse sotto il suo manto, rinnovando la promessa della sua materna assistenza e protezione.
La Madonna è la nostra vera superiora e madre. Appena venni eletta superiora, rimisi a Lei il mio arduo ufficio e la direzione della casa religiosa, ponendomi filialmente alla sua dipendenza. Tocco con mano la sua protezione potente.
L'unione intima con la Madonna ritengo di doverla alla mia missione e vocazione eucaristica, al mio compito materno con le anime.
Vedo spesso innanzi al Santissimo Sacramento la nostra Madre buona in adorazione. Ella adora in una duplice impronta: come Madre di Dio e come Madre nostra. Come Madre di Dio, in tutta la sublimità dei privilegi che l'adornano, e come Madre universale, facendo le nostre veci, supplendo, riparando, supplicando per tutti i suoi figli di adozione. Se non ci fosse Lei, il Dio nascosto nel Sacramento d'amore non avrebbe dagli uomini una degna adorazione.
Sento che nelle nostre adorazioni dobbiamo tenerci intimamente unite a Lei, perché Ella sola è la vera adoratrice. Vedrei impossibile il raggiungere l'intimità con Dio senza vivere in filiali rapporti con Maria santissima. Fu Gesù stesso che incoraggiò e promise: «Non si abbia timore di eccedere nella devozione alla Madonna. Mi fanno tanto piacere le anime che amano la Madre mia, perché mi permettono così di amarla anche attraverso i loro cuori. Tutto otterranno da Lei, che le condurrà a me perché le sollevi fino al Padre. E sarà proprio in questi tempi, nei quali il materialismo e l'orgoglio trionfano che, tramite la Madre mia, mi susciterò una falange di piccolissime anime e mi compiacerò di aprirle alla conoscenza del Padre mio».

La solenne consacrazione

Il solennissimo rito della consacrazione della chiesa venne fissato entro il periodo del Congresso Eucaristico Diocesano, il 5 settembre 1937. Potemmo seguirlo per intero dalla cantoria, dovendo le nostre religiose alternarsi nei canti coi seminaristi.
La suggestiva cerimonia ebbe il suo coronamento con la Messa Pontificale, che venne celebrata alle 13.
Per tutto quel tempo rimasi come estraniata dalla terra, quasi assorbita in una fortissima azione di grazia.
Gesù mi si mostrò nella sua maestà di Pontefice sommo ed eterno e mi disse che veniva a prendere possesso del suo nuovo tempio, edificato conforme ai suoi desideri. E promise che, da quel Trono, avrebbe riversato a torrenti le sue grazie sulla Chiesa, sul Santo Padre e sull'intera umanità. Vedevo in Lui non soltanto il compiacimento per l'edificio materiale, ma pure per il tempio vivo che le anime gli avrebbero innalzato e adornato con gli ornamenti e splendori di grazia tutti propri della vocazione eucaristica, e compresi che desiderava potersi compiacere in pieno nelle creature che aveva scelto come strumenti per diffondere la grazia nei vasti campi che gli Operai evangelici debbono dissodare.
In quella settimana vennero a celebrare nella nostra chiesa dedicata al SS. Sacramento tutti i Cardinali convenuti a Bologna per il Congresso Eucaristico. Ognuno manifestò le proprie viste personali; ma finirono poi con l'incoraggiare la nostra vita puramente contemplativa, di nascondimento e di adorazione.

Aumentano le esigenze divine

Dal giorno della Dedicazione sentii aumentare le esigenze del Signore. Però, l'anima mia si trovava stabilita in un'altissima pace che niente riusciva a turbare e riposava nella sempre amabile volontà di Dio fino a gustare il gaudio anche nelle più dolorose permissioni.
Il nemico mi ha sempre mosso una guerra spietata, facendomi molto soffrire, ma non è mai riuscito a turbare la mia pace.
Sentendo in me il travaglio per lo svolgimento che l'Opera dovrà avere in futuro, tremai e trepidai, dandomene motivo l'addensarsi di nuove e minacciose nubi. Me ne convinse il fatto di venir avvertita di tenermi pronta a tutto, anche ad essere tradotta al S. Ufficio. Non me ne turbai affatto, sentendomi in coscienza tranquillissima, ma pregai di venire lasciata alla mia comunità.
Al tempo particolarmente prezioso degli esercizi annuali, si contrappose il veleno diabolico, e in quante maniere!
Fra le altre, una sera, dovendo lasciare il refettorio per rispondere a una chiamata d'urgenza, mentre scendevo le scale, mi sentii trattenere a forza per lo scapolare e, sotto l'impeto di diversi urti, feci una bruttissima caduta, fermandomi soltanto nella parete di fondo, ove andai a battere la testa. Stentai a rialzarmi e a ritrovare l'equilibrio. Per tranquillizzare tutte, allarmatissime di quanto era accaduto, mi sforzai di dimostrare che niente mi ero fatta di male, ma quella notte la passai in uno spasimo indicibile.
1938. Ripetutamente il Signore accennò all'ora di sangue che stava preparandosi per le nazioni, mi lasciò intuire i momenti difficili che si sarebbero dovuti attraversare; mi consigliò di fare abbondanti provviste e di far disporre il sotterraneo in maniera da servire da rifugio nei momenti di maggior pericolo, promettendo che, se fossimo rimaste fiduciosamente abbandonate in Lui, la grande prova non avrebbe servito che ad imprimere in noi più fulgidi splendori di grazia.
Non dalle cronache dei giornali, che non ho mai letto, appresi tali cose: me le fece vedere il Signore nella sua luce di verità, senza velarmene gli orrori e quanto vi sarà di terribile anche per noi, ma non permise che ne rimanessi sconvolta, esigendo che in ogni impronta di sofferenza sapessi vedere un segno certissimo della sua predilezione.
Come avrei voluto essere capace di risparmiare alla povera umanità il tremendo flagello della guerra!
14-11-1938. La sera della Professione delle nostre sei religiose, il Signore mi fece vedere come in un lampo le loro anime tutte nel più fulgido ornato di grazia, promettendomi che, se continuerò a mantenergliele così, dall'esilio le porterà direttamente alla gloria.
Questa mattina, dopo aver fatto la genuflessione davanti al SS. Sacramento, mi son sentita indirizzare queste parole: "Voi pregate innanzi alla Santità di Dio!"; parole che mi hanno comunicato una certa comprensione di quella infinita Santità. È stata una comunicazione di fuoco; sentivo il bisogno di prostrarmi nell'adorazione più profonda, mentre l'ardore della Divina Carità mi consumava, comunicandomi la vita.
Se in un fragilissimo vaso di cristallo venisse versato con impeto un liquido bollente, il vaso s'infrangerebbe. Così sembra debba avvenire all'anima sotto la forza di certe comunicazioni divine. Pare che il debole involucro si spezzi, ed è un miracolo resistere senza venir meno. È provvidenziale che normalmente il Signore si tenga velato e ci nasconda certe verità; altrimenti, come potremmo rimanere alla sua presenza eucaristica? Siamo veramente poco compresi della reale presenza nel SS. Sacramento!
Dopo queste prime parole, il Signore ha soggiunto:
«Sappiate rimanere nella Santità di Dio per viverla in voi stessi!».
In queste parole, c'è tutto un programma. Egli vuole che approfondiamo il riflesso della sua infinita Santità per irradiarcene e diffonderne la luce.

Lutti per noi e per tutta la cristianità

Il 1° dicembre 1938, chiamata di premura al parlatorio, ebbi la dolorosissima sorpresa di vedermi innanzi, alterato, irriconoscibile, il vescovo Mons. Alfonso Archi che, prima di entrare in clinica, volle fare qui la sua ultima visita. Volle che gli promettessi che l'avremmo accompagnato con la nostra preghiera fino alle soglie dell'eternità, e fece le sue estreme raccomandazioni.
Fin dai miei dodici anni avevo avuto in quel santo Prelato il più valido appoggio, e ne avrei avuta allora una necessità tutta particolare. Non mi sarei, dunque, più potuta appoggiare a nessun sostegno umano... Due soli giorni dopo mi venne comunicata la notizia della preziosissima morte di lui e ne provai un vero schianto; ma, nonostante il mio cuore sanguinasse, dovetti trattenere le lacrime.
Nella prima S. Messa che facemmo celebrare a suo suffragio, ebbi il conforto di vedere l'anima del mio buon Padre rivestita di chiarezza nei gaudi eterni.
Poche settimane dopo, venni associata intimamente al grande dolore che colpi l'intera cristianità con la morte del Papa Pio XI.
Mi sentii poi particolarmente impegnata ad invocare la luce dello Spirito Santo sui conclavisti. Ricordai che Gesù mi aveva detto che il nostro compito assomigliava a quello delle radici affondate nel terreno, assorbenti il succo vitale da trasmettere al grande albero: la Chiesa, e mi vidi come il concime che si mette nel solco, intorno alla pianta. L'elezione del Sommo Pontefice mi si manifestò in un bellissimo splendore, che mi fece comprendere come il Pontificato di Pio XII avrebbe fatto risplendere la santità e la sapienza del Vicario di Cristo fino agli ultimi confini della terra.
Ma quale sofferenza l'aspettava! I suoi moniti per la conservazione della pace non vennero ascoltati, e ben presto, fra le varie nazioni, s'iniziò il conflitto.
Dovetti vedere quello che andava succedendo nel teatro di guerra... e non mi feci illusioni sulle sorti della nostra Patria.
Gesù, pur assicurando che l'Opera non sarebbe stata distrutta, lasciò intuire il molto che vi sarebbe stato da soffrire in un futuro che avrebbe dovuto essere assai prossimo.
Mi fece vedere l'Opera sgorgare direttamente dal suo cuore come una scìa luminosa, e dovetti con ansia seguirne il percorso.
Una infinità di ostacoli sembrava dovessero stroncarla; per lunghissimi tratti la vidi internarsi in profonde gallerie sotterranee, dalle quali finalmente usci vittoriosa per toccare il suo fine.
Quello che il Signore raccomandò, fu di attenersi a una fedeltà massima. Come durante il primo conflitto mondiale (19151918), dovetti dare il mio contributo con una partecipazione viva allo strazio di tutte le creature più duramente colpite, lasciarmi adoperare come Lui voleva con una supplica ininterrotta per la cessazione del flagello e fare il possibile perché la vita di comunità procedesse in maniera da compiacerlo interamente.

Immersa nella felicità di Dio

Una mattina (1141939), mentre esponevo al Confessore come anche nelle prove io senta il bisogno di trovare il lato bello, perché provo un'insaziabile sete di felicità, ecco venire, lì, in confessionale, Gesù; e, mentre il Padre parlava, sentivo la sua dolcissima voce dirmi: «Ti pare che l'anima possa viverla sempre la felicità di Dio?».
«Lo credo possibile», gli risposi.
«Anche sotto la prova e nel tormento delle più torbide vessazioni infernali potrà l'anima conservarsi felice in me?». Risposi parermi che, pur sottoposta a simili prove, se senza ripiegamenti saprà tenersi nel più fiducioso abbandono in Lui, potrà rimanere nella sua felicità.
«Hai detto bene; va' pure in pace».
Appena uscita dal confessionale, mi sentii avvolta e immersa nel mare della felicità del mio Dio. Adorando, entrai in cappella e notai una religiosa starsene là, ripiegata su se stessa in modo da non poter neppure accorgersi di quanto Gesù le fosse vicino. Ed Egli: «Ecco una poverina che, piuttosto che sollevarsi alla mia felicità, si accascia sotto il peso della sua miseria; si ferma a ciò che passa, trascurando quello che solo rimane. Quanto mi è cara l'anima che si affida al mio amore! lo non la abbandonerò mai. E quando si fosse tanto ripiegata su se stessa da impedirmi di effondere in lei quei tesori di grazia che le riservavo, l'attenderei con le braccia aperte, anelando l'istante di poterla stringere a me».
Due ore più tardi, sentii come gettata su di me una pesantissima cappa di piombo e mi trovai come separata dal Signore e nell'impossibilità di andare a Lui. I miei gridi, i miei slanci di fede venivano come spezzati e resi impotenti a sollevarsi. Lo spirito era nell'oscurità più fonda; la memoria priva del ricordo delle grazie ricevute, la fantasia tormentata da macchinazioni diaboliche, tutto l'essere sensibile avvelenato dal tedio, dalla nausea verso il bene, il fisico come un peso morto da non potersi trascinare. Non avrei mai creduto che ci si potesse trovare in un simile stato di prova. Quanto mi riuscì faticosa la reazione!
Eppure (e in questo riconosco la grazia del Signore) mi venne data la forza di potermi mantenere in equilibrio, di non ripiegarmi, di continuare il mio canto d'amore, di man
tenermi con la volontà in Dio. È stata una prova delle più tremende.
Ho compreso che Gesù desidera che le anime riparino, con lo splendore dell'immolazione, i peccati dell'umanità. Mi sentivo adoperata da Lui per i suoi fini, e ciò mi dava la forza di rimanere nell'abbandono.

Le correnti vivificatrici della grazia

Nel 53° anniversario del mio Battesimo (1841939) vidi che, nell'istante in cui scendeva su di me l'acqua lustrale, incominciarono ad effondersi dal Triplice Trono sull'anima mia abbondantissime correnti di acque cristalline, limpide, pure, vivificatrici, d'indicibile bellezza. Queste correnti erano distinte e significavano: la prima, la purificazione; la seconda, tutte le grazie che avrei ricevuto nella mia vita, corrispondendo alla divina elezione; la terza, le grazie proprie dell'Opera.
La purificazione, come effetto proprio del Sacramento, inizia la comunicazione tra Dio e l'anima; ed è una meraviglia vedere come le tre adorabili Persone da quel momento siano impegnate a compiere il loro lavoro nell'anima rigenerata per portarla al fine al quale vogliono farla pervenire. Tale grazia è per tutti i battezzati, ma non nello stesso grado d'intensità.
Il fiume delle grazie particolari sull'anima mia mi parve di una vastità impressionante. Fin da quando ero del tutto inconsapevole, Iddio mi avvolgeva della sua predilezione, mi preveniva, mi fortificava, mi dirigeva e illuminava, addestrandomi a un lavoro di finissimo perfezionamento.
Mi vidi, quale figlia della Chiesa, fruire di tutte le sue ricchezze, nutrita al suo seno e fatta partecipe dei suoi tesori di grazia. Quale immenso cumulo di grazie nel corso della mia vita ad oggi!
Ne rimasi confusa; e, dopo essermi profondamente umiliata per non aver sempre corrisposto con quella fedeltà che un così grande dono richiedeva, mi lasciai trasportare dall'impeto della gratitudine per effonderla nella lode e nel rendimento di grazie.
Il terzo fiume di acque riguarda l'Opera, e sono le grazie tutte proprie della nostra vocazione. Quanto sono preziose! Vidi l'Opera nel cuore della Chiesa, della quale riporta scolpiti in sé gli splendori, e le anime che ne costituiscono il drappello, come canali di trasmissione derivanti dalla sorgente viva che vi si ammira al centro: il Santissimo Sacramento. Nella corrente delle grazie inerenti alla vocazione ho distinto tre sbocchi: il primo, in ordine alla propria personale santificazione; il secondo, ordinato al consolidamento, allo svolgimento del disegno divino sull'Opera; il terzo è per il conseguimento dei fini dell'Opera stessa, onde dia realmente alla Chiesa (e al Sacerdozio in particolare) quegli aiuti che è in pieno diritto di attendere da noi.

Gesù viene a cogliere il suo primo fiore

Entrò nelle divine permissioni il vedermi ridotta - nel gennaio 1940 - ad una quasi assoluta immobilità, necessaria (come mi fece comprendere il Signore) per la Chiesa e per la povera umanità, ma anche per accumulare, per le mie figliole presenti e future, quel deposito di grazia, dal quale poter attingere quando non avrebbero più avuto il sostegno che loro lasciava al presente.
Non ero sola a soffrire in quel tempo; altre piccole ostie erano già segnate dall'impronta del sacrificio e, proprio in quel periodo, una di esse, Suor Maria Chiara della Santissima Eucaristia, superò una crisi pericolosa che fu tuttavia come l'annuncio a dispormi al prossimo dolorosissimo strappo. Già da diversi anni quella benedetta figliola, minata da una grave infermità che nel fiore degli anni l'andava gradatamente paralizzando, sosteneva eroicamente e serenamente un vero martirio.
Ed ecco che il 18 febbraio 1940 dovetti vederla rendere l'anima a Dio... Mi sentii come strappare qualcosa della mia vita, e sperimentai al vivo la sofferenza dell'Addolorata ai piedi della Croce.
Quale forte vincolo è quello della maternità spirituale! Più forte, direi, di quello del sangue.
Fui confortata dalle parole di Gesù:
«Ho colto il mio giglio nel momento della sua perfetta fioritura, attratto dal suo profumo. Non è con la tristezza e col pianto che desidero mi vengano offerte le mie candide spose!».
Mentre la salma stava per lasciarci, lo spirito di Sr. M. Chiara mi consolò facendomi intendere che l'anima sua era nella luce dell'Eucaristia e aveva avuto il compito di rafforzare, col suo, il canto d'amore delle piccole Ancelle Adoratrici. Queste erano stille di balsamo, ma la mia sofferenza rimaneva quanto mai sentita e profonda.
Dopo un mese appena dalla dipartita della prima colomba dall'Arca, un altro strazio: la morte del mio amatissimo babbo. Prova durissima per il mio cuore. La grazia mi sostenne e riuscii a dominare la mia sensibilissima natura, che niente aveva mai sperimentato di simile.
Durante la ricreazione, parlai di vari ricordi edificanti lasciatimi dal mio ottimo babbo. Mi fu allora ancor più difficile trattenere il pianto, vedendo brillare le lacrime negli occhi di quante seguivano attente e commosse il mio racconto.
Ebbi però il supremo conforto di vedere, in seguito, lo spirito del babbo mentre stava per entrare in Paradiso:
«Vengo a ringraziare te e queste anime buone per avermi affrettato il possesso dell'eterna felicità!».

Mi sentivo sola col Solo

Nel giorno anniversario del mio Battesimo (1841940) mi sentii come strappata a forza dal mio niente e quasi sollevata e immersa nell'oceano della Divinità. Dopo questa grazia, mi sentii orientata in una direzione nuova. La luce abbagliante quasi mi accecava. Non più immagini o simboli, ma la stessa spiritualissima Essenza di Dio si comunicava ineffabilmente alle potenze del mio spirito, così da sentire l'anima mia in Lui, immedesimata alla sua vita, che respiravo come l'aria e mi appagava pienamente.
Era una comunicazione di amore, di forza e di luce che superava ogni altro favore ricevuto fino a quel momento, tanto che non avrei mai creduto che nell'esilio si potesse venire portati tanto in alto.
Da quella regione alla gloria, ritengo che il passo sia assai breve. Sulle prime ne rimasi sgomenta, sembrandomi di non poter fare più neppure un atto di umiltà o di qualsiasi altra virtù.
«Prova pure (ammoniva Gesù) se puoi ancora tornare alla tua miseria! Ormai è tempo che tu viva unicamente di me e del mio amore, lasciandoti penetrare dalla luce che vuole, dirigerti e muoverti con assoluta libertà. Tienti passiva in me e non temere; vivi della grazia del momento, dandomi di poterti penetrare sempre più à fondo. Ti voglio tutta e unicamente perduta nel mio amore. Essendo, però, ancora nell'esilio, sta' bene attenta a non mancare ai doveri che hai verso Dio e verso il prossimo».
Mentre mi teneva in uno stato che avrei detto inconciliabile con un indirizzo di vita ordinaria, mi voleva attentissima in tutto e per tutto. Sentivo che una sola infedeltà mi avrebbe fatto discendere dalle altezze nelle quali, per pura bontà del Signore, ero stata portata. Questa altissima unione e penetrazione di Dio non viene distratta dalle occupazioni materiali, anche le più pressanti. Tuttavia, nel silenzio e nella solitudine l'anima può attendere con maggior libertà all'orazione e intensificare l'unione.
Ero in Dio come il moscerino perduto in un oceano di luce; di più, per istanti brevissimi, ma sufficienti a darne l'intuizione, pareva che Dio, lasciando cadere l'ultimo velo in cui si cela, facesse intravvedere se stesso. Altro non saprei dire; la realtà supera ogni umana espressione.
Niente come questi alti doni di grazia fanno conoscere all'anima la sua originaria bassezza e l'immensa liberalità del Signore, provocando nella povera creatura una smisurata gratitudine e un immenso amore. Ammirazione, riconoscenza, adorazione: ecco le disposizioni del mio intimo. Non mi era dato di poter fare altro; ero come strappata da me e da ogni altra operazione mia propria, e tenuta sotto il dominio di un amore geloso fin di un respiro.
Mi sentivo sola col Solo...

La guerra

10-6-1940. Ed ecco noi pure in guerra! Quanto mi fu penoso e quale prova per la mia fede dover constatare un così aperto contrasto con quanto mi era stato promesso in passato a favore della nostra Patria!
È vero che certe promesse erano condizionate a volontà umane... ma, il vederci sotto lo sdegno di Dio, parve schiacciarmi sotto il peso di una delle più gravi responsabilità.
Per la salvezza dell'Italia, per l'intera famiglia umana, per essere in grado di dare il nostro contributo, di quale tempra dovremmo essere! Per la mia anima, dal momento della dichiarazione di guerra, avvenne un cambiamento assoluto. Improvvisamente, dalle regioni luminose nelle quali ero tenuta, piombai in orridi precipizi, irti di spine, ov'era impossibile reggersi in piedi e tanto meno avanzare.
Tutto accettai perché il muro bronzeo che separa la terra dal Cielo venisse abbattuto e i fiumi della misericordia divina si aprissero il varco per rinnovare e salvare l'umanità.
Non volli sgomentarmi. Dal mio precipizio, cercai di spingermi fin sul Cuore divino e di rimanervi. Il solo palpito di quel Cuore mi nutriva e riposava.
17-7-1940. Sono stata impegnata in una sofferenza delle più intense e tenuta come sospesa sui luoghi colpiti dalla guerra. Immedesimata allo spasimo di tutti i colpiti a morte, sentivo nel cuore lo strazio delle madri, delle spose, dei figli.
Mi sentivo con Maria sul Calvario. Offrivo tutto in unione all'immolazione della Vittima divina; e vedevo con sommo conforto come tante anime, da quel martirio, salivano alla luce della Patria celeste. Non vi è creatura umana che io sappia nella sofferenza (fosse pure l'ultimo negro dell'Africa) che non impegni il mio zelo.
In questo momento il mio campo d'azione è immenso. Mi valgo delle preghiere e sofferenze della comunità per allargare il torrente della misericordia, affinché tutti ne vengano beneficati.
«Quello che permetto al presente, dice Gesù, è un castigo, ma ancor più una medicina d'amore. Non posso vedere andar travolte anime che la mia redenzione ha conquistato per il Cielo. Con questo battesimo di sangue voglio salvare e rinnovare l'umanità. Il mio Cuore arde d'amore per tutte le mie creature...».

Alla presenza del Padre

10-6-1941. Al principio della Messa, l'anima mia intuì immediatamente di trovarsi alla presenza del Padre.
In un primo momento, rimasi quasi sopraffatta dall'immensità, dalla potenza, dalla forza di quella luce superna che sfolgorava nella Prima Sorgente, e sarei fuggita per sprofondarmi nel mio niente, non desiderando che ridurmi in polvere in omaggio a Lui.
Mentre, in un supremo annientamento, adoravo questo grande Iddio, Egli si avvicinò, discese fino a me e mi sollevò a sé.
Allora, al sentimento che direi quasi di paura (che non è altro che lo sgomento prodotto dalla chiarissima vista che contemporaneamente percepisce, dei due opposti, il tutto di Dio e il niente della creatura), che prima tendeva ad allontanare, successe uno slancio di filiale confidenza, un irrefrenabile impulso di abbandonarmi nel seno paterno di Dio, sprofondandomi nello splendore della Divina Essenza. Quale appagamento per l'anima!
In quell'oceano di chiarezza, tutto forza di vita, sotto l'impulso di una grazia vivificante, illuminante e trasformante, mi sentii completamente rinnovata. A quel contatto, l'intelletto apprende con la massima facilità le verità più ardue; i misteri più sublimi divengono quasi comprensibili; ma soltanto dopo che il primo effetto di tale illuminazione soverchiante è passato, se ne può dire qualcosa.
Non facevo che ripetere col cuore colmo di gratitudine: «Padre, quanto vi amo! Come siete buono! Venite a visitarmi spesso!», e con confidenza filiale gli raccomandavo la Chiesa e la povera umanità. Varie volte l'ho ringraziato per averci dato il suo Figlio, per averlo lasciato per noi nel Santissimo Sacramento. Il ringraziamento veniva quanto mai spontaneo perché, in quell'abbraccio che mi dava nuova vita, la fede e l'amore ingigantivano.
Il nostro Dio è più buono che grande!
Egli rimane conquistato dalla semplicità dei piccoli. Posso dire che la mia vita è così colma di Dio da non riuscire a desiderare neppure il Cielo... Non vorrei che fosse illusione, ma mi pare di aver raggiunto una stabilità in questa unione e che niente abbia la forza di distogliermene. Sento di portarlo in me, il mio Dio, e di essere in Lui. Riposando sul suo seno, trovo un ristoro che nutre le mie potenze e mi permette, pur nella quiete, la più intensa attività. Attività nella carità, perché, mentre il contatto intimo con Dio accende di amore sempre crescente per Lui, intensifica pure la carità verso il prossimo.
Senza che il pensiero debba portarsi alle diverse persone, portando tutti in me, mentre amo, adoro e ringrazio, peroro intensamente per tutti. Questo stato mi piace tanto, perché mi dà modo di esplicare la mia missione più efficacemente di ogni altro.
Sì, è questo l'apostolato riservato alla contemplativa; e, soltanto quando essa tocchi il più alto grado dell'unione con Dio, potrà degnamente assolverlo. La potenza di un simile apostolato supera quello delle più svariate attività dell'apostolato di azione ed è di tutti la forza motrice, la linfa vitale.

Un piccolo Carmelo eucaristico

16-1-1942. Si leggeva in refettorio la biografia di una grande carmelitana: Madre Maria di Gesù, fondatrice del Carmelo di ParayleMonial, ed io, sentendo quella lettura, mi umiliai profondamente davanti al Signore per non aver saputo infondere nelle anime a me affidate il vero spirito di orazione.
Egli, compiacendosi di vedermi convinta della mia incapacità, mi spiegò la differenza che passa tra la vita del Carmelo e la nostra.
La vocazione carmelitana porta le anime ai più alti gradi di orazione; la nostra vocazione eucaristica, le deve portare alla perfezione dell'adorazione.
Perciò, la caratteristica delle adoratrici sarà l'annientamento, in una via in cui prevale la fede, senza apparato di singolari doni carismatici, ma che le solleverà ugualmente alle vette della contemplazione. È perciò assai diverso il lavoro di formazione delle adoratrici da quello delle carmelitane.
Mi rappresentò poi il Carmelo sotto il simbolo di una grande Croce che apre le sue braccia su tutta la terra, illuminandola con la luce irradiante della Vittima Divina; e la nostra piccola Opera con un Sole: Gesù, presente e vivente nell'Eucaristia, che dal suo nascondimento dispiega l'onnipotenza della sua grazia.
Il Carmelo, con la sua austerità, forma grandi anime di orazione, mentre il nostro soave Carmelo eucaristico forma delle piccole adoratrici.
E spiegava:
«Sono rimasto sulla terra nello stato sacramentale per associare le anime alla mia adorazione al Padre, affinché anche dall'esilio potesse ricevere il grato omaggio di una adorazione in spirito e verità.
Nessuno potrebbe andare al Padre se non per me, e il mio amore ha trovato il modo di farsi via alle anime per portarle al Padre. Quanto desidero poterle associare alla mia adorazione!».

«Se saprai credere...»

Nel gennaio del 1942, in seguito a un periodo dei più provati, venni colpita da paresi al lato sinistro e rimasi a lungo in uno stato di grande sofferenza.
I pericoli di guerra si fecero ogni giorno più gravi; la frequenza dei bombardamenti andò aumentando; spesso gli allarmi ci costringevano a riparare nel rifugio, e tante volte di notte.
Le mie condizioni non mi avrebbero permesso il minimo movimento, ma non mi trattenni mai dal seguire le mie figliole per tenerle tranquille. Ne avevo delle gravemente inferme, sulle quali la paura agiva come un veleno, e mi sentivo moralmente impegnata in un dovere che avevo assunto coi familiari di tutte, che avevano fatto tanta pressione perché ci decidessimo a lasciare la città e ci mettessimo al sicuro.
Si acutizzò la crisi economica con conseguenti disagi, ma il Signore non permise che mi lasciassi influenzare da dubbiezze e ansietà. Anche davanti a un crollo, avrei dovuto continuare a cantare il «Magnificat»; «Soltanto se saprai credere, ammirerai il trionfo della mia onnipotenza!».
Mi dissero che ritirassi almeno le artistiche vetrate del tempio, ma, riflettendo che ovunque le avessi riposte, sarebbero state ugualmente in pericolo, preferii lasciarle al loro posto, perché quei Santi e quelle Sante che raffigurano, avessero fatto da sentinelle.
E così fu, manifestandosi prodigiosa la divina assistenza su di noi. Si sarebbe detto che il Signore si compiacesse allora di rinnovare i prodigi compiuti ai tempi di Noè con le creature rifugiate in questa nostra Arca, galleggiante ora su un diluvio di fuoco e di sangue. Fummo assistite, provvedute, difese.
Bombe cadute nel nostro recinto e rimaste inesplose, interrate nelle aiuole; formazioni di aerei disperse; schegge di proiettili penetrate in casa, che ci lasciarono incolumi...
Non si dovettero lamentare che rotture di vetri, scalfitture di pareti, danni indifferenti a confronto delle rovine che ci circondarono. E dire che, nell'attiguo Collegio S. Giuseppe, i tedeschi avevano stabilito il loro stato maggiore, cosa che fece di questa zona uno degli obiettivi più bersagliati.
Il mio timore era che anche la nostra casa venisse requisita.
Infatti, seppi poi che quei nostri temibili vicini ne avanzarono la domanda. Non saprei dire quanto supplicai il Signore perché venisse scongiurato questo pericolo. Seppe pensarci Lui! Ogni volta che il comandante, con un gruppo di ufficiali, si mosse per venire a significare la decisione presa, fu fermato dall'allarme; e, in seguito, ricevette l'ordine di partire immediatamente per altra destinazione.
Il vedere la nostra Nazione ridotta a tanta rovina fu per me una delle più sentite sofferenze. Senza un particolare aiuto dall'alto, non so se avrei potuto resistere...

Gesù confida i desideri del suo Cuore

5-6-1942. Sono tenuta in uno stato di profondissima immolazione, ma voglio vedere in questo un nuovo segno dell'amore del mio Dio, del quale non potrei dubitare. È un amore che opera potentemente nel silenzio e nell'annientamento, esprimendo così la sua forza.
In questo modo intendo riparare alle tante incomprensioni, freddezze e ingratitudini con le quali il divino amore viene accolto dalla maggior parte degli uomini.
Proprio questa mattina (primo venerdì del mese), Gesù si è degnato aprirmi i segreti del suo Cuore; ed io sono rimasta immedesimata alle sue sofferenze.
Quanto gli torna dolce potersi intrattenere con le sue creature amate per manifestare loro quanto, per amore, volle subire nella sua amarissima Passione!
«Lo spasimo culminò nelle ultime ore della suprema immolazione. La mia umanità soffriva indicibilmente; tuttavia, ciò che costituì il martirio più tormentoso fu l'angoscia del Cuore.
Più che la spietata crudeltà dei crocifissori (che compativo e amavo, perché non sapevano quello che facevano: non mi conoscevano, non potevano conoscermi...), mi oppresse 1'incorrispondenza, l'ingratitudine delle anime maggiormente favorite.
In quelle ore tremende ebbi presente quanto sarebbe avvenuto all'umanità fino alla fine dei tempi; ed ogni anima mi fu nel cuore.
Ero disceso in terra per imprimere il mio sigillo d'amore nei redenti, e a prezzo di tutto il mio sangue ottenevo alle anime la salvezza e l'eterna felicità, ma venivo ricambiato con l'insulto, la derisione, l'ingratitudine.
Nei poveri peccatori pentiti trovai un sollievo e - nella persona del buon ladrone - in forza del mio ultimo palpito, li vidi accogliere la salvezza.
Molti, molti si salveranno!
Ma i prediletti, gli amici del cuore, sarebbero forse riusciti a rendere vano lo stesso onnipotente sforzo del mio amore?
Fu questa l'ambascia mortale che mi strappò il lamento: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?".
Il mio disegno di amore, però, non avrebbe potuto restare inappagato. Il trionfo finale avrebbe dovuto essere dato alla Carità, e a questo fine, la Giustizia del Padre aumentò il rigore sulla sua Vittima, facendole comprendere come sarebbe stato necessario che la soddisfazione continuasse da parte di quelle anime fedeli che avrei dovuto associare alla mia immolazione espiatrice.
Non è possibile a mente umana penetrare l'abisso del mio intimo martirio. Una creatura sola lo comprese: la Madre mia. Nell'anima e nel cuore di Lei, che tutto accolse il mio spasimo, trovai sollievo e conforto, mentre mi era penosissimo vederla in tanto strazio.
Rimase eretta sotto la Croce, perché il dolore l'aveva impietrita. La sostenne la forza del suo materno amore.
Al presente, non potendo più soffrire nella mia umanità gloriosa, soffro nelle membra del mio Corpo mistico, nelle mie creature predilette».

«Fate penitenza!»

28-8-1942. Sono ancora viva per miracolo. Dopo una crisi di cuore che mi aveva lasciata stremata di forze, ho dovuto subire una vessazione diabolica delle più terribili.
Il nemico mi si è avventato contro con una violenza che mi avrebbe schiacciata, se la mia buona Madre celeste, fervidamente invocata, non avesse prontamente risposto al mio grido. Con uno sforzo superiore, questa mattina son voluta scendere in cappella per la S. Comunione, ma mi sono poi dovuta ritirare prontamente e mettermi immobile ad occhi chiusi fino all'ora della mensa comune, alla quale ho potuto partecipare perché la Madonna mi aveva alquanto ritemprata, facendomi riposare sul suo cuore.
Non saprei dire come sia avvenuta la cosa, ma di fatto mi sono realmente sentita sul cuore materno di Maria, del quale percepivo i palpiti, e vi ho riposato soavemente come un bimbo.
Mentre ero da Lei tenuta così, ho intuito che venivo offerta quale ostia di riparazione e propiziazione alla SS. Trinità, in una invocazione di pace per il mondo.
Era bella e dolce anche la sofferenza in quel momento di paradiso; ma sapevo bene che, passati quegli istanti, una volta lasciata alle mie sole forze, le mie disposizioni sarebbero mutate; perciò me ne umiliavo profondamente.
La Madonna mi ha detto:
«Figliola, quando ci siamo veramente offerte per il compimento dei divini disegni, non dobbiamo mai, nella prova, fermarci alla prima impressione che ne riceve il sentimento; ma, superata questa, con uno sguardo di fede - per rimanere nel perfetto abbandono in Dio - dobbiamo fissarci nella sua sapienza, giustizia e bontà infinita».
Gesù vuole che tenga costantemente lo sguardo sulla Madre sua per imitarla e seguirne le orme immacolate.
28-9-1942. Il Signore, per i gravissimi delitti che si vanno compiendo, ripete: «Fate penitenza, altrimenti perirete tutti!».
Siccome mi domandavo quale penitenza avesse potuto desiderare da noi, mi ha spiegato:
«Le anime fedeli sanno trovare sempre il modo di offrirmi un sacrificio gradito; ad ogni respiro moltiplicano le loro minime penitenze, che sono tali da non poter certo alimentare l'orgoglio. Ogni superamento che l'anima s'impone per essermi totalmente fedele, inclina il mio cuore al perdono verso l'umanità.
Se si conoscesse il valore della sofferenza! Io l'ho scelta dal Presepio alla Croce.
La terra è un arido deserto, eppure nelle sue profondità racchiude gemme di inestimabile pregio, profuse in essa dalla liberalità dell'Altissimo».
In così dire, ha posto sotto il mio sguardo il quadro terrificante del mondo quale è ridotto al presente: odio, fame e un cumulo immenso di mali e di rovine che l'occhio si stanca di vedere, e tutto in causa del peccato.
La separazione da Dio sembra essersi fatta tanto netta e insuperabile da credere assolutamente impossibile un riavvicinamento.
Eppure, l'unica chiave capace di riaprire le comunicazioni fra la terra e il Cielo è soltanto la sofferenza.
Il Signore la permette a questo fine. La getta in terra, ove cade con lo splendore di una gemma preziosa; ma sono pochi coloro che si chinano a raccoglierla riconoscendone il valore.
Quali tesori sono lasciati nel fango!
Il Signore chiede che siamo pronte a seguirlo nella via dolorosa per il trionfo dei suoi piani di misericordia e di salvezza, che ci slanciamo con ardore di carità per cooperare alla salvezza dei fratelli. È il momento della donazione suprema, ed è necessario scuoterci dal torpore, ricordando il monito divino:
«Se non fate penitenza, perirete tutti!».

Nuove luci sul Sacrificio Eucaristico

28-12-1942. Per ravvivare la mia fede e il mio apprezzamento, la bontà del Signore mi ha dato nuovi lumi sul Sacrificio Eucaristico.
Al momento della Consacrazione ho potuto intuire come Gesù, appena il Sacerdote ha pronunciato le parole della formula, si sia reso presente. Non saprei dire il modo di questa presenza, essendo cosa che sorpassa ogni umano intendimento.
A me si è manifestata come una luce significante la reale presenza di Gesù Sacerdote sommo ed eterno che, mediante la sua rinnovata offerta, ci irradia con la potenza vivificatrice della sua grazia.
Nell'istante della Consacrazione trovavo come assommati tutti i Misteri della vita del Salvatore, avendo in quella circostanza, rilievo tutto particolare quello del Natale che si commemorava.
Coglievo le affinità della nostra missione con quella di Maria santissima e vedevo la preziosità della vocazione eucaristica incentrata nella Messa ed assumente da essa il suo valore e la sua fecondità. Mi pareva che l'intero universo non fosse che un grande Altare, dal quale saliva al Trono dell'Altissimo l'unico sacrificio accetto, il solo capace di placarlo e ottenerci misericordia e pace.
Attraverso la S. Messa vedevo realizzata e in atto la Comunione dei Santi: l'unione fra le Chiese militante - purgante - trionfante. La grande preghiera sacerdotale della Vittima divina è ordinata, con tutta l'opera della Redenzione, alla gloria del Padre e alla nostra salvezza: non potrebbe avere altro fine.
Mi pare di aver compreso come non soltanto i Cristiani, ma tutti, a qualunque religione appartengano, senza distinzione di razza e nazionalità, abbiano aperta innanzi la possibilità della propria salvezza; infatti, la Redenzione è stata consumata per tutti.
Il vedere tale consolantissima verità nella luce di Dio, fa dimenticare i piccoli, limitati interessi che possano pure allargarsi ad abbracciare la nostra Nazione; ci si sente membri di una sola famiglia, tutti figli dello stesso Padre, e non ci si interessa di altro se non di implorare quanto sta massimamente a cuore a Gesù, cioè di riportare al suo paterno abbraccio di amore tutti i fratelli.
Il Signore vuole che ci si tenga intenzionalmente associati alle Messe che vengono celebrate su tutta la terra nelle 24 ore del giorno, in spirito di offerta, concorrendovi mediante i piccoli o grandi sacrifici che ci si presenteranno. Si entra così nello spirito e nelle intenzioni della preghiera sacerdotale di Gesù e, infiammati dalla carità che arde nel suo Cuore, si è disposti a tutto soffrire pur di cooperare alla salvezza dei fratelli.

Omaggio di riparazione

9-10-1942. Mi viene tenuto innanzi un quadro impressionante. Pare che l'odio satanico trionfi: templi, monasteri, abbazie celebri, case religiose vengono ridotte a cumuli di rovine; opere d'arte che formavano il vanto di nazioni e di città, atterrate, distrutte...
È cosa impressionante constatare come di fronte alla morte che miete continuamente innumerevoli vittime, domini la più cinica indifferenza, l'amore al piacere, a una vita paganeggiante, l'incredulità, il materialismo. I richiami della Misericordia divina non riescono a fare breccia in cuori affondati miseramente nel fango. Mentre i buoni sono oppressi da tanti mali, i più si adattano a seguire supinamente la corrente comune.
In questi giorni sono stata portata ad assistere a scene raccapriccianti. Pare che di proposito, nei bombardamenti, vengano prese di mira le chiese per fare oltraggio al SS. Sacramento.
In un tempio miseramente colpito, le sacre particole, rovesciate in terra, sono state calpestate dai fuggenti terrorizzati; ed in altro luogo, mentre il celebrante (che ancora non aveva consacrato) fuggiva insieme ai fedeli, un'orda di forsennati irrompeva nella chiesa e, fattisi all'altare, s'impadroniva del sacro calice e della pisside profanandoli nel modo più orribile.
Ne sono rimasta finita dal dolore.
Il Signore mi porta nel luogo ove avvengono queste profanazioni, perché rimanga in profonda adorazione a quelle sacre Specie.
È vero che l'adorabile Corpo di Gesù non ne viene toccato e che Iddio resta nel suo immutabile gaudio; eppure riceve l'affronto di quegli oltraggi, per soddisfare i quali dovrebbe inabissare l'universo...
Per rianimarmi un poco, mie stata mostrata una bella schiera di Angeli aventi il compito di rendere omaggio di adorazione e riparazione alle sacre Specie che rimangono sepolte sotto le macerie, oppure profanate. Essi le raccolgono tutte in un calice e vanno a riversarle in quelli dei Sacerdoti che stanno celebrando.
Io pure vengo associata a questa riparazione e tanto spesso ripeto realmente la comunione.
Gli Angeli deplorano che l'uomo, tanto favorito dall'amore di Dio, calpesti in tale maniera i suoi preziosissimi doni.
Mentre gli uomini ingrati calpestano il Dono del suo amore, Gesù rinnova al Padre la sublime preghiera dell'infinita carità: «Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno!», e desidera che noi presentiamo spesso a Dio il suo annientamento sacramentale come la più fervida supplica in favore dei poveri peccatori, suoi fratelli. L'arma delle nostre vittorie dev'essere unicamente l'amore.

Un gran calice

7-12-1942. I bombardamenti non risparmiano la nostra città; vengo perciò ripetutamente consigliata allo sfollamento. Intanto, il desiderio di Gesù è che gli continuiamo senza interruzione l'adorazione eucaristica. Non sarà facile che io mi pieghi a quanto detta la prudenza umana... La divina predilezione ci sta intorno come un muro di difesa. «Nessuno potrà toccarvi o nuocervi, dice Gesù, se vi terrete in quella fedeltà che tanto rallegra il mio cuore». Quante volte ha ripetuto e promesso che quest'Arca galleggiante su un diluvio di sangue e di fuoco si sarebbe salvata; e le anime in essa racchiuse, quali colombe, avrebbero contribuito a portare al mondo la pace!
10-1-1943. Alcuni giorni or sono mi venne comunicata la notizia della morte della mia mamma. Quello che sperimentai ricevendo quella lettera abbrunata non è possibile esprimerlo... Cercai di concentrarmi nell'adorazíone della divina Volontà, e questo atto di adesione mi fece sentire vicinissimo il mio Dio che, avvolgendomi di un tenerissimo abbraccio, mi fece gustare l'ineffabile soavità della sua paternità d'amore.
«Non è giusto che, mentre ti chiedo il sacrificio della creatura più cara che tu avessi sulla terra, ti faccia sentire che non sei sola e che hai la tua vera famiglia in Cielo?».
Sotto la stretta del dolore mi raccolsi in preghiera e, da Maria santissima, venuta accanto alla sua povera figliola per farle posare il capo sul suo cuore, ricevetti l'ultima manifestazione di affetto che mi avrebbe dato la mamma.
Dopo la S. Comunione del giorno appresso mi parve comprendere che l'anima della mamma era già nella pace di Dio, e mi giunse l'eco della sua voce: «Che hai fatto, Palmina mia, per ottenermi una così grande felicità? Adesso capisco perché tu trovasti la forza di lasciarci per seguire la tua vocazione! Fallo sapere a tutti i fratelli quanto sono felice».
2-10-1943. Giorni fa ebbi una comunicazione di luce tanto forte da farmi stentare a riprendere contatto con la terra. Di solito questi favori precedono le più dolorose prove; infatti, poco dopo, mentre si era nel rifugio, il Signore venne a presentarmi un gran calice, dicendomi che mi restavano ancora da sorbire molte stille amare, che mi tenessi disposta e pronta.
Nello stesso giorno appresi che il 25 settembre, in seguito a un rovinoso bombardamento sulle città di Bologna e di Firenze, erano morti mons. Luigi Balestrazzi, direttore spirituale del seminario, da poco nostro confessore ordinario, e il Padre Antonio Amadori, gesuita, che doveva venire a predicarci gli esercizi annuali.
Fu una desolazione per la nostra città: innumerevoli le vittime, fra le quali: parenti delle mie figliole, am i e conoscenti.
Ebbi sul cuore le sofferenze di tutti.
Come avrei voluto essere capace di soddisfare in pieno tanto rigore di giustizia, pur di vedere arrestata la furia distruggitrice di quei flagelli!
Il Padre Antonio Amadori, fin dai primissimi passi dell'Opera, mi era stato di valido aiuto ed appoggio; in seguito mi ha aiutato assai con la sua direzione spirituale nella formazione delle religiose e pure indirizzando buoni soggetti e con la predicazione degli esercizi spirituali. Era un'elettissima anima sacerdotale che conservava intatta la candida veste battesimale; e ritengo sia direttamente volata alla gloria. Lui beato! Ma quale perdita per la comunità...
Mons. Luigi Balestrazzi faceva, pure lui, un gran bene a questa famiglia religiosa, e tanto nel seminario della diocesi.
Era un santo. Lo avremo a valido protettore e ammireremo un giorno quale premio abbia ricevuto dal Signore. Li ho sentiti fortemente questi strappi; ma nella prova ho compreso di dovermi fissare ancor più fortemente in Dio che, scoprendomi la sapienza delle sue permissioni, finisce con l'impegnarmi nell'adorazione e nella lode. Non scompare la sofferenza; ma, per l'effetto di questa accettazione, va infine a sfociare nel gaudio. Sento che, per pura grazia di Dio, la mia disposizione interiore ad ogni momento e in ogni permissione, non è che l'essenza di un Magnificat mai sospeso.

Le grazie divine si fanno sempre più attraenti

17-1-1944. Quanto è buono il Signore! Con una degnazione che mi colma di meraviglia, si abbassa fino a me e si tiene in continua conversazione con la sua povera creatura, interessandosi dei minimi particolari della mia giornata. Mi sento attratta da Lui come si usa coi piccolissimi, con delicatezze più materne che paterne. Non potrei dire quanta sia la soavità del gaudio che mi riserva. Non vi è estranea la sofferenza, ma tutto concorre a rendere più intima l'unione e più viva la gioia.
Le potenze spirituali sembrano fissate nel loro centro di riposo, tanto che l'occuparmi dei miei doveri, il parlare, non mi distrae né interrompe il mio intimo conversare con Dio.
È una grazia, questa, che fin dal principio domandai al Signore; e gliene sono grata più dei favori straordinari che mi concede.
Come potrei attendere ai doveri del mio ufficio se, come si legge di certi mistici, dovessi rimanere alienata dai sensi e impotente a tutto? Quello che mi meraviglia è il constatare come l'Altissimo, del quale sempre meglio conosco le perfezioni, si degni abbassarsi fino alla mia estrema miseria per chiedere con linguaggio infuocato d'amore: comprensione, corrispondenza, fedeltà.
Gesù sacramentato desidererebbe che ogni volta che ci si porta davanti a Lui, fosse semplice, spontaneo lo scambio delle effusioni di affetto e che non si dovesse sentire la necessità di ricorrere a formule studiate, gradendo assai più che gli si parli come detta il cuore.
Vuole una confidenza piena, che semplicemente manifesti tutto, perché, pur conoscendo quanto gli diremo, l'effusa confidenza stabilisce quella cordialità di rapporti che sono la vita dell'amore.
Nell'amore verso Dio non avviene come a volte può avvenire in quello umano, in cui la convivenza, la consuetudine finiscono per affievolire la fiamma; anzi, avviene il contrario: più ci si avanza nel cammino, più s'intensifica il fervore della carità.
Purtroppo (e questo fa male anche solo a sentirlo dire) si crede che il fervore sia cosa da principianti, effetto dell'ardore giovanile. No, no. Il vero ardore della carità, che non è fondato sul sentimento ma sulla volontà, è sempre in aumento.
Nei primi anni della mia vita religiosa, mi pareva impossibile che vi potesse essere un di più di grazia e di amore di quello che allora sperimentavo, mentre, avanzandomi nell'età, vedo che ogni giorno è una sempre nuova rivelazione della bontà e dell'amore di Gesù e un intensificarsi di unione con Dio. Le grazie divine si fanno sempre più attraenti e danno allo spirito un appagamento sempre più pieno.
Se non fosse così, con un cuore come il mio, sarei stata la più infelice delle creature...
Ma è necessaria un'ininterrotta attività di corrispondenza, altrimenti si perderebbe terreno. Gesù vuole trovare un amore sempre vigilante.

Prezioso olocausto

25-9-1944. Ieri l'altro, fin dal mattino, risentivo quel malessere indefinibile che sperimento ogni volta che viene minacciata la sicurezza dell'Opera; ed ecco che mi si avverte di tenere tutto pronto perché, nel pomeriggio del giorno seguente, si sarebbe dovute sfollare...
Internamente mi sentivo disposta a tutto, adorando le disposizioni della divina Volontà; ma, prima di dare gli ordini per i preparativi, andai innanzi al SS. Sacramento e, dopo aver dichiarato a Gesù le mie disposizioni di accettazione incondizionata, gli dissi che aspettavo l'ordine dal legittimo Superiore (Lui) prima di mettere in agitazione la comunità. Per colmo di prova, il Signore si tenne in silenzio, e non avevo da ricordare che la sua ultima parola: «Potrai credere?». Con tutta la volontà, andavo ripetendogli: «Credo, Gesù, ma tu sostieni la mia fede»; ed era tanta la violenza che dovevo farmi che anche il fisico ne risentì.
Dopo la Messa, venne un ufficiale per significare la revoca dell'intimazione, dicendo che, almeno per il momento, si sarebbe potute rimanere nella nostra casa.
Evidentemente il Signore era intervenuto e diceva a fatti come pensa a difendere l'Opera sua da ogni assalto. Quanto è buono!
Ai tanti motivi di preoccupazione, se n'è aggiunto uno che mi tiene in grande ansietà: le precarie condizioni di salute della nostra ottima Madre M. Giacomina di Gesù hanno subito un crollo tale da far presagire assai prossima la sua fine. Il vederla ridotta come la vediamo oggi è uno strazio per il mio cuore. Questo non mi distoglie dal mio abbandono nella volontà del Signore e cerco di conservarmi nella disposizione di una amorosa accettazione di quanto Egli vorrà.
Vedo quell'Anima in una bellissima luce, in un ornamento di grazia quale può averlo un capolavoro nella sua completezza; e comprendo benissimo come Iddio desideri averla con sé.
5-10-1944. Lo avevo intuito che il poter rimanere esentate dallo sfollamento avrebbe richiesto alla comunità qualche altro sacrificio, ma non avrei supposto che sarebbe stato quello della morte della nostra carissima Madre M. Giacomina. Quando la vidi semiparalizzata, ma ancora energica, e la sentii affermare che certamente avrebbe superato la crisi, m'illusi di poterla avere ancora a lungo fra noi.
Tuttavia, sabato scorso, vedendola assai depressa, volli che il Sacerdote la confessasse; e, dopo l'allarme che ci sorprese prima del Mattutino, le ordinai di non muoversi dal letto la mattina seguente.
Prima di scendere in cappella, andai a vederla e la trovai benino; ma poco dopo sopraggiunse una crisi impressionante, superata la quale, in un attimo in cui si trovò sola, tentò di scendere e cadde malamente. Risollevata a fatica e posta sul suo giaciglio, poco dopo spirò.
Me la presi fra le braccia e feci al Padre l'offerta di quel prezioso olocausto. Quell'atto ebbe una profondità di amore e di dolore superiore a quanti ne avevo fatti in precedenza, e mi trovai così sprofondata nel seno paterno di Dio. Quanto fu intimamente sentito quel tocco di grazia! Non mi rese però insensibile, ed ero in uno strazio tale da farmi temere di non poterlo sostenere.
L'Unzione degli Infermi venne data sotto condizione, perché all'apparenza la morte era già avvenuta; eppure, fu soltanto mentre nelle preghiere ritualí si diceva: «In Paradiso ti conducano gli Angeli», che mi parve vedere l'Anima sollevarsi nella luce.
Quali meraviglie di grazia ci ha nascoste l'estrema umiltà di quella santa religiosa!
Durante le esequie, quell'Anima benedetta mi si è mostrata in un trionfo da regina ed ha lasciato questo messaggio:
«Il gaudio che Iddio riserva ai suoi eletti non ha proporzione con le sofferenze sostenute per assicurarselo. Tutto il patire dell'esílio è nulla al confronto del Sommo Bene. Se si sapesse quanto è beatificante vedere Dio e possederlo!».

«Lasciala a me: debbo portarla a Gesù!»

30-10-1944. La cerimonia della rinnovazione dei voti delle nostre professe è stata contrassegnata da una tale manifestazione del compiacimento divino da renderne incancellabile il ricordo.
Tanto gaudio non era disgiunto dalla sofferenza, causata da diversi motivi, fra i quali il più preoccupante era quello delle condizioni di salute della nostra Suor Maria Rosario dell'Ostia Immacolata; tanto più che avevo intuito che sarebbe presto aumentata la comunità del Cielo... Un'impronta di splendore celeste aveva irradiato l'anima della piccola suora mentre leggeva, con voce stentata, la formula, e mi fu dato di vedere quale glorioso seggio l'attendeva lassù e con quale ineffabile felicità vi avrebbe sciolto in eterno il suo cantico di ringraziamento e di lode. Non avrei però immaginato che soltanto poche ore le rimanessero da trascorrere quaggiù...
Quale schianto per il mio cuore!
Questa mattina, poco dopo il segno dell'alzata, sono stata chiamata in fretta e, portandomi nella stanza di Sr. M. Rosario, l'ho trovata spirante. Pronta, come sempre, al primo tocco della campana, si era disposta ad alzarsi, ma, ricaduta sul guanciale, era rimasta così.
L'ho chiamata forte per nome, perché potesse riconoscere la mia voce, l'ho sollevata sulle braccia per facilitarle il respiro... e in quel punto la Madonna è venuta: «Lasciala a me, mi ha detto; sai bene che queste figliole sono in tua custodia unicamente per venire presentate allo Sposo delle vergini. Questa, debbo portarla al mio Gesù, che l'attende!». Era tanto bella e luminosa: la luce che l'avvolgeva si rifletteva sul viso della morente che, quasi scossa da un misterioso richiamo e come se vedesse la Madonna che le veniva incontro, si è fissata con un inesprimibile sorriso, che poi le è rimasto sulle labbra, nel volto di Maria e, protendendo le braccia, ha deposto 1'aníma candida, nell'effusione di un filiale abbraccio, sul cuore della Vergine, che l'ha sollevata fino al Trono di Dio.
Quale invidiabile trapasso! Se non si avesse un cuore che sente tanto lo spasimo di questi strappi dolorosi, invece che piangere, si dovrebbe godere, lodare, ringraziare!
Sr. M. Rosario era una creatura angelica, un vero serafino dell'Eucaristia, ma di fisico fragilissimo: è rimasta spezzata dai disagi e dagli spaventi di questo tempo di guerra. Non aveva che 28 anni...
Le esequie, invece che un rito funebre, sembrarono una festa di nozze.

Una singolare processione eucaristica

8-11-1944. Fummo avvertite dal Cardinale che, in caso di pericolo e nell'impossibilità di avere un Sacerdote, anche una religiosa avrebbe potuto trasportare il SS. Sacramento per metterlo al sicuro.
Subito pensai che quell'incarico lo avrei dato alla Madre M. Giacomina, e pregavo, intanto, che una simile necessità non avesse a presentarsi; ma ella ci aveva da poco lasciate quando, il 6 novembre, mentre eravamo in chiesa, fummo sorprese dall'allarme e da un mitragliare fitto fitto di aerei che sembravano toccare il tetto dell'edificio sacro.
Come fare? Compresi di dovermi assumere personalmente quella responsabilità e mi decisi di trasportare Ostensorio e Pisside.
Il senso del dovere prevalse, ma fu un miracolo se potei reggere. Quando mi accostai al cuore Gesù sacramentato, sentii dirmi:
«Se mi lascio portare da te, non dovrai tu lasciarti portare e adoperare da me?». Il Signore, essendosi lasciato portare da me, mi vuole ora nelle sue mani di Sacerdote ed Ostia del perenne sacrificio: «Il tuo vivere dev'essere come una Messa continua; ti desidero cosa per i miei Sacerdoti».
Compresi in quel momento come debba vivere il Sacerdote che ha il privilegio di trattare tanto frequentemente con il Mistero eucaristico.

Un solenne Te Deum

Dopo quella singolare processione eucaristica, mi tenni disposta a tutto pur di compiacere il Signore, ma quante ne dovetti sopportare!
Si disse un'imprudenza inconcepibile quella di non deciderci a sfollare. Mi sembrò allora di camminare su di una lama affilata sospesa su di un abisso... e i colpi si moltiplicarono da ogni parte e, direi, più terribili ancora di quelli delle armi da guerra.
In quello scatenamento, il demonio parve prendersi tutte le rivincite. Andò minacciando che in breve ci avrebbe fatte ammalare e morire tutte. Già altre due figliole stavano lottando contro morbi inesorabili e una terza (la più giovane), in seguito a tanti spaventi e lutti, rimase talmente scossa nel sistema nervoso da non sospirare altro che il suo ritorno in famiglia.
Certo che, pur facendo il possibile perché non mancasse il necessario, restrizioni, privazioni e disagi furono inevitabili; e i fisici ne risentirono.
Mi venne riferito un giudizio che da taluni si fece allora e che mi tornò penosissimo: quel seguito di prove non avrebbe dovuto vedersi come segno di riprovazione da parte di Dio?
Non si sarebbe piuttosto dovuto vedere, in tanta immolazione che ci venne chiesta, quel contributo di riparazione imposto dal momento e voluto dai fini della nostra vocazione?
Nei giorni più terribili dovemmo ridurci a rimanere anche la notte nel sotterraneo. Adibimmo la cripta, ove avevamo posto l'altare per la S. Messa e un tronetto mobile, a cappella dell'adorazione, che non sospendemmo un istante, nonostante le continue raffiche di cannonate e bombardamenti. Avevamo là sotto due moribonde!
Iddio, tanto fervidamente invocato, finalmente si mosse a pietà e, dopo un triduo di SS. Messe, che feci applicare per ottenere la fine della guerra, mentre le sorti della città erano state decretate e si prevedeva una distruzione a tappeto, dal coraggioso Sacerdote Padre Gutty missionario del S. Cuore (P. Dehon) che, noncurante del pericolo, era venuto ogni mattina a celebrare nel nostro rifugio, apprendemmo il 21 aprile 1945 la notizia della liberazione, della tregua.
In parte ignare della desolante situazione della diletta Patria nostra, accogliemmo quell'annuncio come un proclama di vittoria e, con animo colmo di gratitudine, cantammo un solenne Te Deum al nostro vero ed unico liberatore: Gesù sacramentato.


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